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Quel singolare rapporto tra epidemie e disastri di stato

Da leggere

di PAOLO L. BERNARDINI

Quando, un giorno, forse presto, guarderemo all’incubo del virus come a qualcosa del passato, ci dovremo tuttavia porre tante domande. Virus vuol dire veleno: appartiene alla natura, ad una natura che seppur non “facit saltus”, pure s’evolve, pian piano, e dà vita, per dir così, con un giuoco di parole, a nuove forme di vita. Che poi l’uomo possa creare “virus”, non v’è dubbio. Un giovane filosofo marxista italiano, Diego Fusaro, sostiene che vi sia la possibilità (non la probabilità, ma soltanto la possibilità) che il virus corona sia stato immesso dagli USA nei paesi per ragioni diverse “ostili” all’America – l’Iran, la Cina, e l’Italia (in quanto ha stretto rapporti commerciali con la Cina di recente, la famosa “Nuova via della seta”). Devo dire che trovo Fusaro molto gradevole, sia per il dominio (esibito di continuo, ma perché non farlo, perché vergognarsi di parlare bene una lingua splendida?) della lingua italiana – singolare, peculiare, del tutto inattuale nel senso di Nietzsche, ovvero “contrario ai tempi” – sia perché ha il coraggio di sostenere ipotesi ardite, in un mondo oramai avviato verso l’uniformità (assenza) di pensiero: un mondo con l’encefalogramma piatto. Devo dire però anche che Fusaro continua a prendersela col “liberismo” senza sapere cosa sia: il liberismo è il contrario del nuovo ordine mondiale voluto dagli Stati di cui egli continuamente parla.

Il pensiero liberale è qualcosa di profondamente avverso non solo ad ogni teoria che comprenda l’idea di una qualche possibile legittimità degli stati, ma perfino avverso al concetto di “Stato” stesso. Siccome a casa ho almeno tre copie del libro di Carlo Lottieri Il pensiero libertario contemporaneo (del 2001), se Fusaro legge quest’articolo e mi dà il suo indirizzo, gliene regalo una. Così capisce finalmente che cosa è il liberismo e smette di prendersela con qualcosa d’altro, qualcosa di del tutto diverso, chiamandolo “liberismo”. Ma magari Leo Facco gli manda in omaggio un po’ delle sue pubblicazioni. Chissà che non si converta, Fusaro, e metta il suo veemente ancorché pacato eloquio al servizio della giusta causa, invece di ostinarsi a difenderne una morta (ma non sepolta, questo passettino ancor è da farsi).

In ogni caso, personalmente non saprei dire se il coronavirus sia stato mandato in Cina dagli americani, non esistono prove, ma solo “elucubrazioni”. La validità delle teorie del complotto viene confermata di solito dopo secoli dagli eventi di cui si parla. Barruel riteneva la rivoluzione francese frutto di un complotto e ora credo che avesse ragione. Le sue “Memorie per la storia del giacobinismo” uscirono nel 1797-1798. Quel che però, da storico, posso rilevare, è il singolare rapporto tra epidemie e disastri di Stato. Ora, la WHO, che nel “Who is Who?” delle organizzazioni internazionali inutili, è quella per la “sanità” (Health), ha classificato il coronavirus come “pandemia”. Questo bel conio – tanto per non spargere il panico! – lo ha riservato a tre altri eventi nel Novecento.

  1. La spagnola del 1918, la peggiore. Cito dal sito Epicentro ISS It:

“Si stima che un terzo della popolazione mondiale fu colpito dall’infezione durante la pandemia del 1918–1919. La malattia fu eccezionalmente severa, con una letalità maggiore del 2,5% e circa 50 milioni di decessi, alcuni ipotizzano fino a 100 milioni. Negli anni Trenta furono isolati virus influenzali dai maiali e dagli uomini che, attraverso studi sieroepidemiologici furono messi in relazione con il virus della pandemia del 1918. Si è visto che i discendenti di questo virus circolano ancora oggi nei maiali. Forse hanno continuato a circolare anche tra gli esseri umani, causando epidemie stagionali fino agli anni ’50, quando si fece strada il nuovo ceppo pandemico A/H2N2 che diede luogo all’Asiatica del 1957. I virus imparentati a quello del 1918 non diedero più segnali di sé fino al 1977, quando il virus del sottotipo H1N1 riemerse negli Stati Uniti causando un’epidemia importante nell’uomo. Da allora virus simili all’ A/H1N1 continuarono a circolare in modo endemico o epidemico negli uomini e nei maiali, ma senza avere la stessa patogenicità del virus del 1918”.

Per chi voglia comprendere la dimensione epocale di questa tragedia, la letteratura è vasta. Consiglio il magnifico libro di Laura Spinney “The Pale Rider”, del 2017, che traccia bene il percorso, anche “culturale”, di un’epidemia che costò più morti della prima strage mondiale: ma che ne fu conseguenza! La circolazione di truppe, il dissesto delle strutture ospedaliere, l’investimento fino ad esaurimento del denaro pubblico in un conflitto insensato e bestiale, prepararono la strada alla tremenda vendetta della natura. La relazione tra stati, statalismo, ed epidemia qui è tanto evidente che mai nessuno ha osato negarla.

  1. 1957: l’Asiatica (H2N2)

Cito sempre dal medesimo sito

“Dopo la pandemia del 1918, l’influenza ritornò al suo andamento abituale per tutti gli anni Trenta, Quaranta e Cinquanta, fino al 1957, quando si sviluppò la nuova pandemia. All’epoca il virus era stato isolato nell’uomo nel 1933 e poteva essere studiato in laboratorio. Tranne le persone con più di 70 anni, la popolazione non aveva difese contro il virus. Nonostante non esistesse una sorveglianza epidemiologica o di laboratorio, come quelle che abbiamo oggi, il virus fu studiato nei laboratori di Melbourne, Londra e Washington, dopo il riconoscimento che un’importante epidemia era in corso. Il New York Times in un articolo descrisse l’epidemia che aveva coinvolto circa 250.000 persone in un breve periodo ad Hong Kong. Il virus fu rapidamente riconosciuto con i test di fissazione del complemento, mentre lo studio dell’emagglutinina virale mostrò che si trattava di un virus differente da quelli fino ad allora isolati negli uomini. Ciò fu confermato anche dalla neuraminidasi. Il sottotipo del virus dell’Asiatica del 1957 fu più tardi identificato come un virus A/H2N2. Il virus aveva diversi caratteri immunochimici che differivano marcatamente dagli altri ceppi conosciuti. Si sapeva che nell’influenza le infezioni batteriche polmonari secondarie o concomitanti erano frequenti, e ad esse erano dovuti molti dei casi fatali. A volte però la sovrapposizione batterica non poteva essere dimostrata, per cui si parlava occasionalmente di polmonite abatterica. Ma, con l’Asiatica del 1957, fu molto diffuso ed evidente il fenomeno di polmoniti primariamente virali. In contrasto a quanto osservato nel 1918, le morti si verificarono soprattutto nelle persone affette da malattie croniche e meno colpiti furono i soggetti sani. Il virus dell’Asiatica (H2N2) era destinato ad una breve permanenza tra gli esseri umani e scomparve dopo soli 11 anni, soppiantato dal sottotipo A/H3N2 Hong Kong”. Fine della citazione.

In questo caso il mondo sembra essere nel pieno della resurrezione post-bellica. Salvo il fatto che la Guerra Fredda era anch’essa nel suo fulgore, e l’Asia si trovava separata da una “cortina di ferro”. Mentre la Cina si apprestava al grande massacro che – complici vili o ciechi (o entrambe le cose) intellettuali europei, compresi foschi e loschi personaggi italiani – si sarebbe chiamato “grande salto in avanti”: dal 1958 appunto al 1961, un triennio in cui la Nera Signora fece gli straordinari e chiese probabilmente un periodo di congedo per sfinimento. Ora, con l’URSS alle prese con la (lentissima) de-stalinizzazione, la Cina con Mao all’apice, l’epidemia forse non ebbe, o non ebbe proprio, avversari in grado di contrastarla: ne fecero le spese gli abitanti di Hong Kong, sotto la Gran Bretagna, ma attaccati alla Cina.

Vediamo la terza pandemia:

  1. 1968: Influenza Hong Kong (H3N2)

“Come nel 1957, la nuova pandemia provenne dal Sud Est Asiatico e anche questa volta fu la stampa a dare l’allarme con la notizia di una grande epidemia in Hong Kong data dal Times di Londra. Nel 1968, come nel ’57 le comunicazioni con la Cina continentale erano poco efficienti.  Poiché l’epidemia si trasmise inizialmente in Asia, ci furono importanti differenze con quella precedente: in Giappone le epidemie furono saltuarie, sparse e di limitate dimensioni fino alla fine del 1968. Il virus fu poi introdotto nella costa occidentale degli USA con elevati tassi di mortalità, contrariamente all’esperienza dell’Europa dove l’epidemia, nel 1968–1969, non si associò ad elevati tassi di mortalità. In Italia l’eccesso di mortalità attribuibile a polmonite ed influenza associato con questa pandemia fu stimato di circa 20.000 decessi- Poiché il virus Hong Kong differiva dal suo antecedente dell’Asiatica del 1957 per l’antigene emagglutinina, ma aveva lo stesso antigene neuraminidasi, si pensò che l’impatto variabile nelle diverse regioni fosse imputabile a differenze nell’immunità acquisita nei confronti dell’antigene neuraminidasi”.

Anche qui siamo in Asia, Mao si gode l’ultimo decennio di assoluto potere, la Guerra Fredda non si raffredda, anzi. Si scalda! Ma l’instabilità americana ed europea, il 68 e il 69, non aiutano certamente. Il mondo – degli stati e grazie agli stati – è fragile, ma lo è soprattutto quando gli stati mandano truppe da qualche parte (guarda caso, in Vietnam: nel 1969 Nixon appena eletto continua la guerra iniziata sciaguratamente nel 1955, peraltro due anni prima della pandemia del 1957, guarda caso “asiatica”…). Come ci raccontano qui sopra gli eminenti epidemiologi di Epicentro ISS: “il virus fu poi introdotto nella costa occidentale degli USA con elevati tassi di mortalità…”.

Della quarta pandemia, il nostro corona, parleremo un giorno. Ma come esistono le pandemie, esistono anche le “quasi pandemie”, secondo i WHO (da non confondersi colla meravigliosa band…). E allora quali sono queste quasi-pandemie:

Eccole qui:

  1. 1947: Pseudo pandemia (H1N1)

“Alla fine del 1946, un’epidemia di influenza si diffuse in estremo oriente, in Giappone e Corea, tra le truppe americane, e successivamente, nel 1947, ad altre basi militari negli USA dove fu isolato un ceppo virale che sembrò molto differente dal virus dell’influenza A, sotto il profilo antigenico, per cui fu chiamato: “Influenza A prime”. Si ritiene che questa epidemia possa essere considerata una pandemia lieve, perché si diffuse a livello globale, ma causò relativamente pochi morti. Si verificò il completo fallimento del vaccino nel proteggere un gran numero di militari americani vaccinati. Il vaccino conteneva un ceppo H1N1 che era risultato efficace nelle stagioni 1943–1944 e 1944–1945. Negli anni successivi, quando furono caratterizzati sia il virus del 1943, da cui era stato derivato il vaccino, che quello del 1947 si osservò che le sequenze di RNA virale erano marcatamente diverse in quanto a composizione.”

Cosa dire, basta la data, 1947: non paghi del male fatto con la prima, gli stati si ingegnano a fare una seconda guerra mondiale. La preghiera medievale “a fame peste et bello libera nos Domine!”, assume un significato tragico nel momento in cui carestia peste e guerra (e altre malattie varie sotto la definizione generica di “pestis”), venivano tutte insieme, con la guerra – opera degli stati, capolavoro in cui lo Stato esprime la sua vera, propria natura – a far da apri pista, la prima dei quattro cavalieri dell’Apocalisse, la mosca cocchiera: il quarto non menzionato è la Morte. Allegria!

E veniamo all’ultima delle due “quasi-pandemie”

1977: Epidemia dell’Influenza Russa (H1N1)

“Questa epidemia si era diffusa nel maggio 1977 nel nord est della Cina, ma fu denominata “Russa”. Essa si diffuse rapidamente ma soprattutto o quasi unicamente tra i giovani con meno di 25 anni, con manifestazioni cliniche lievi, anche se tipicamente influenzali. Si ritiene che i giovani non fossero stati esposti al virus H1N1, che non aveva più circolato più dal 1957, quando erano diventati dominanti prima ceppi H2N2 e poi H3N2. In effetti, la caratterizzazione antigenica e molecolare ha dimostrato che questo virus era molto simile a quelli circolanti negli anni ’50”.

L’epidemia si chiama russa e si diffonde in Cina: siamo in due paesi comunisti ormai al capolinea. Stati che mai avrebbero dovuto nascere muoiono malamente trascinando nella propria rovina i loro cittadini, molti complici, moltissimi solo vittime. Mao è morto da un anno – lasciando la Cina nel disastro. L’URSS nel tentativo di salvarsi si dà la Costituzione del 1977, l’ultima. Leonid Brežnev prende il potere. Non arresta il disastro in corso, ribadisce il diritto alla secessione delle repubbliche federate come nella prima costituzione sovietica, del 1918 (costituzione che grottescamente antecede di quattro anni la nascita dell’URSS stessa!): come allora, una buffonata. Ma in verità essa estende capillarmente il controllo centralistico sui territori. Il mondo è diviso tra stati ostili e imbelli. E questa “modesta” influenza prospera. Anche se per fortuna dell’umanità stavolta le vittime sono poche.

Il coronavirus falcidia la mia amata Lombardia, questa mia terza patria che dopo Liguria e Veneto sta pian piano diventando la mia prima. Ebbene, la peste si accanì nel 1630 nei medesimi territori (mentre infuriava in tutta Europa). Rileggiamo Manzoni. Senza la guerra dei trent’anni – gran esercizio di stato nello sterminio dei popoli – probabilmente non si sarebbe diffusa così tanto, portata da lanzichenecchi, mercenari, soldati di sventura…Rileggetelo, Manzoni, magari con il grandioso commento di Ezio Raimondi…Concludo con due parolette sue:

“…Anche noi, dico noi uomini in generale, siamo un po’ da compatire”.

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2 COMMENTS

  1. Buonasera. Io ho paura. E’ una situazione irreale. Mi sembra di vivere in un incubo. Non credo al coronavirus. Ma ammesso e non concesso che si tratti davvero di coronavirus, non è questo il modo di affrontare l’emergenza. Fare chiudere tutto il mondo non è la cosa giusta da fare. La gente deve lavorare per vivere. Hanno sicuramente in mente qualcosa. Qualcosa di brutto.

    • Sì stanno prefigurando un incubo, al netto della pericolosità del virus, diventato letale solo in un paese di cialtroni come l’Italia

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