RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO
Il 20 febbraio 1810 Andreas Hofer, l’eroe tirolese per eccellenza, l’indomito difensore della libertà del Tirolo, veniva fucilato a Mantova dalla soldataglia napoleonica. Vorrei ricordarlo in maniera particolare, riproponendo la lettera che Albino Luciani, allora Patriarca di Venezia, futuro Papa Giovanni Paolo I°, pubblicò nel suo volume “Illustrissimi” assieme ad altre indirizzate ai grandi della storia.
Caro Hofer
Un mese fa, passando per Innsbruck, ho visitato la Hofkirche, chiesa già francescana, costruita nella Rinascenza, su disegno del nostro Andrea Crivelli. E’ stato là, a sinistra della porta principale, che mi sono imbattuto nella vostra tomba. Vicino a Voi sono sepolti Giuseppe Speckbacher e il cappuccino Gioacchino Haspinger, ambedue compagni delle vostre battaglie.
In realtà Voi, l’albergatore di S. Leonardo in Val Passiria, avete combattuto due sorta di battaglie: prima siete stato soldato regolare nella guerra contro i francesi nel 1796 e nel 1805; partigiano, siete poi stato il capo e l’anima dell’insurrezione popolare tirolese contro i bavaresi e i francesi del 1809. Ed è la conduzione incredibilmente abile e coraggiosa di questa guerriglia, che ha strappato ammirazione agli stessi generali napoleonici e vi ha fatto entrare per sempre come eroe nel cuore del popolo tirolese.
Tutto cominciò quando il marchese di Montgelas, ministro del re di Baviera, senza preavviso e motivo, nel 1809 soppresse di colpo tutte le cerimonie del culto cattolico: niente più processioni, matrimoni e funerali religiosi, niente più suono di campane. Montgelas non immaginava fin dove potesse arrivare il sentimento religioso del cattolicissimo popolo tirolese. Questi inoltrò al re di Baviera rispettose istanze, perché fosse ritirato il “decreto empio e liberticida”. Invano. Allora fu l’insurrezione in massa. Mentre le campane suonavano a stormo e il loro suono si ripercuoteva di valle in valle, si videro i contadini accorrere da ogni “maso”, da ogni villaggio, armati chi di falce, chi di forche, chi di vecchi fucili: li dominavano la vostra statura gigantesca, la voce possente e decisa, la imponente barba nera.
Due volte l’esercito bavarese fu sconfitto: quando vennero in rinforzo, a decine di migliaia, i francesi ed i sassoni, fu giocoforza, per i vostri, sciogliersi e darsi alla guerriglia. Anche allora, come nella Resistenza italiana, si “andò in montagna”. Purtroppo, due miserabili Vi tradirono per i soliti “trenta denari”. Scovato dai francesi nella capanna che vi nascondeva, diceste: “Fate di me quel che vi piace, soltanto rispettate l’innocenza della mia sposa e dei miei figli”. Il Vicerè Eugenio voleva graziarvi; Napoleone ordinò la fucilazione.
A Mantova, prima del supplizio, benediceste, come un patriarca, i compagni inginocchiati intorno a Voi e, ricusata la benda agli occhi, attendeste in piedi la scarica. Sulla spianata dell’Iselberg, presso Innsbruck, vi hanno eretto una statua. Sul piedestallo è scritto: Per Dio, per l’Imperatore, per la Patria.
Imperatore a parte, dentro e fuori il Tirolo, vorrei che il vostro eroismo, gentile e cristiano insieme, ispirasse qualcuno. Intendiamoci: non auspico nessuna guerriglia; sono convinto che, specialmente nell’Italia democratica, non ce ne sarà bisogno. Ma la Vostra fede cristiana, tutta d’un pezzo, la compattezza di popolo, che, con Haspinger, avete saputo realizzare nell’ora del pericolo, queste sì le desidererei con tutto il cuore.
Elia profeta diceva alla gente: “Fino a quando zoppicherete con i due piedi? Se il Signore è Dio, seguitelo! Se invece lo è Baal, seguite lui!”. Voleva che si facesse una scelta seria; insinuava che non si può andare a Dio senza staccarsi dal male, stando seduti su due sedie o tentennando. Il nostro Trilussa ha detto la stessa cosa:
“Credo in Dio Padre onnipotente. Ma…
Ciai qualche dubbio? Tiettelo per te.
La fede è bella senza li “chissà”,
Senza li “come” e senza li “perché”.
“Chissà”, “come” e “perché” non erano pane per i denti dei vostri Tirolesi. Lassù, nella modesta trattoria “am Sand” che Voi gestivate, essi giocavano, bevevano, si divertivano, discutevano. Ma tornati alle loro case, recitavano la preghiera della sera con la famiglia; andando alla Messa domenicale, usavano sostare sulla tomba dei loro morti nel piccolo cimitero tutto stretto attorno alla chiesa. L’ambiente, le pie tradizioni, il tempo disponibile favorivano la riflessione: la riflessione sviluppava quella convinzione, che il pittore Egger Lienz ha efficacemente espresso, dipingendo i partigiani tirolesi inquadrati e pronti alla lotta con in testa Haspinger che impugna il crocifisso.
A noi oggi, travolti come siamo da un ritmo frenetico di vita, mancano il silenzio e la possibilità di riflettere; questa forse è una delle cause del tentennare di parecchi. L’Haspinger, il predicatore vecchia maniera, che ci richiami rudemente alle verità eterne, non si accetta oggi: occorrerebbe meglio una voce suasiva e discreta. Il campanone, che suona a distesa, non lo sopportiamo; forse accettiamo il campanello di casa.
Voce discreta e campanello era, per esempio, Fratel Candido delle Scuole Cristiane. Vissuto un secolo circa dopo di Voi, Hofer, egli viaggiava un giorno in treno con sulle ginocchia un indicatore ferroviario, che stava consultando. Un fanciullo lì presso sbirciò incuriosito il volume e l’armeggiare del Fratello. “Conosci questo libro?”, gli fa Fratel Candido. “No?. Vuoi vedere a cosa serve? Come si usa?”. E gli spiega, e lo addestra a trovare gli orari, a scoprire i tragitti più rapidi tra una città e l’altra. Il fanciullo si interessa, prova anche lui, impara presto e ci gongola; i passeggeri nello scompartimento seguono il dialogo dei due con divertito interesse.
A un certo punto, senza parere, Fratel Candido continua: “Vuoi che ti insegni anche a viaggiare sulla Ferrovia del Paradiso?”. Meraviglia del fanciullo e dei passeggeri. Fratel Candido trae dalla borsa di viaggio un foglietto illustrato e spiega:
“Ecco qui la Ferrovia del Paradiso. Stazione di partenza: da qualsiasi punto del globo. Tempo di partenza: ad ogni momento. Tempo di arrivo: non c’è ora prevedibile per il viaggiatore. Biglietto: essere in grazia di Dio. Controllore: l’esame di coscienza. Avvisi: 1) tenere sempre pronti i bagagli delle buone opere; 2) c’è modo di recuperare i bagagli perduti per mezzo della Confessione. Eccetera”.
Finito di spiegare, amabile e sorridente, offrì al fanciullo e ai presenti il curioso e prezioso itinerario, che a qualcuno, forse, avrà ispirato un pentimento e un proposito.
Direte: “Questo vostro Fratello è un’edizione striminzita e molto ridotta del mio possente Haspinger!” Che volete! L’epoca attuale, religiosamente debole, va presa con metodo adatto. Importante non è il modo, ma il successo finale: far riflettere!
Più importante ancora è tenere uniti tra di loro sia i cattolici che i cittadini. Siamo cristiani, ma è buona anche per noi la predica del console pagano Publio Rutilio. Era molto grasso. Un giorno, per sedare una tremenda baruffa, che non finiva più, tra due parti contendenti, disse: Amici cari, come vedete, io sono molto grasso e mia moglie è ancora più grassa di me. Eppure, quando andiamo d’accordo, un piccolo letto basta per tutti e due; quando litighiamo invece, tutta la casa ci pare piccola e non ci basta più.
Qui mi viene un dubbio: l’esempio di Rutilio è calzante, se i contendenti sono due; ma, ahimé!, nella nazione, nei partiti oggi le correnti non sono due, ma quattro, sei, sette, venti! Non si può più parlare di letto matrimoniale! Se la considerazione del bene comune non è sufficiente a riportarci all’unità, dalle discordie dovrebbe trattenerci almeno la paura dei danni cui esse conducono. Diceva Voltaire: due volte mi trovai sull’orlo della rovina: la prima, quando perdetti una lite, la seconda, quando la vinsi.
Nazioni e fazioni politiche e religiose che abbiamo sottocchio, possono applicare a sé l’epifonema volterriano. In più conviene che esse dedichino un pensiero al “terzo” sempre in agguato: quello che “gode” tra i due litiganti.
Bulwer, l’autore di Ultimi giorni di Pompei, ha scritto: “L’avvocato è un uomo che, quando due litigano per un’ostrica, l’apre, ne succhia il contenuto, poi dà le due valve ai contendenti: una per ciascuno!” E’ un po’ crudo: è vero tuttavia da sempre e in ogni campo che la forza del nostro avversario è la nostra debolezza causata dalle divisioni.
Queste considerazioni valgono, in parte, anche per la Chiesa Cattolica. Il suo fondatore, Cristo, ha temuto le divisioni e ha posto un saldo fondamento per l’unità. Ha detto: desidero che i miei seguaci “siano una sola cosa”, che facciano “un solo ovile”. Per ottenere lo scopo, ha scelto dalla folla i Dodici, dei quali ha detto: “Chi ascolta voi, ascolta me”. Prevedendo divisioni tra i Dodici e i successori, ha voluto che uno fra loro facesse da capo o da fratello maggiore, dicendo a Pietro: “Pasci i miei agnelli”, “conferma i tuoi fratelli”. Il rimedio dunque c’è: basta che fedeli, sacerdoti, religiosi e vescovi si stringano attorno al Papa: nessuno spezzerà la Chiesa.
Il Vostro cappuccino Haspinger, caro Hofer, sapeva queste cose, anzi le ha toccate con mano. Al tempo della Vostra insurrezione tirolese parecchi vescovi, per timore od interesse, passavano dalla parte di Napoleone strapotente. Voi invece dal Tirolo resistevate a Napoleone e ai suoi amici, stando dalla parte del Papa Pio VII, che, proprio in quel 1809, lanciava contro Napoleone la scomunica e, arrestato dai francesi, da Roma veniva tradotto in esilio a Savona.
Sono tutte cose da ricordare. Da attuare. Per mettere fine alle innumerevoli risse che stancano e scandalizzano. Per restaurare l’unione degli animi, l’unità della Chiesa e del Paese. Für Gott… für Vaterland. Per Dio… per il Paese, come sta scritto sull’Iselberg!
Ettore Beggiato
autore di “1809:l’insorgenza veneta. La lotta contro Napoleone nella Terra di San Marco”