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Quelli che le tasse (degli altri) non sono mai abbastanza

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di MATTEO CORSINI

Di tanto in tanto il Sole 24 Ore del lunedì si occupa dei regimi fiscali che diversi Stati riservano a persone in età da lavoro o pensionati che trasferiscano la residenza fiscale nel loro territorio. E puntualmente capita di leggere opinioni, a commento dei fatti, che accatastano l’intero armamentario socialista in materia.

Angelo Mincuzzi si occupa spesso di questioni fiscali, vedendo reati pressoché ogni volta che un individuo o un’impresa cercano di pagare meno tasse possibile. Un atteggiamento sinmile a quello dell’Agenzia delle entrate, che vede abuso del diritto ogni volta che, a fornte di diverse opzioni, il pagatore di tasse sceglie quella che minimizza l’esborso. In questo caso la pretesa sarebbe quella che il pagatori di tasse vestisse sempre i panni di Tafazzi, con una mano scegliendo l’opzione più esosa e con l’altra randellandosi i testicoli.

Stando al tema della tanto criticata concorrenza tra Stati per attrarre individui facoltosi e partendo dalla decisione del governo inglese di abolire dal 2025 il regine riservato ai residenti non domiciliati (che esenta da imposte i redditi prodotti all’estero da questi soggetti), Mincuzzi ricorda che anche l’Italia ha deciso di raddoppiare l’importo fisso sui redditi prodotti all’estero dai neo residenti. A partire dal 10 agosto 2024 è oassata da 100mila a 200mila euro, una “misura simbolica, visto che per milionari proprietari di società, azioni, obbligazioni e altri investimenti esteri dai quali possono ricavare dividendi, interessi e capital gain altrettanto milionari, 200mila euro di imposte sono davvero poca cosa. Ma tant’è.”

Ma (purtroppo, sembra di capire secondo Mincuzzi) questi segnali “non autorizzano per il momento a pensare che sia in atto un cambio di strategia, nonostante diventi sempre più difficile per i governi giustificare politiche fiscali che creano differenze di trattamento così marcate tra contribuenti. Soprattutto, diventa complicato far accettare sacrifici come aumenti delle imposte, tagli della spesa sociale e innalzamento dell’età pensionabile a chi versa le imposte con percentuali troppo alte, mentre a pochi milionari vengono concesse aliquote di favore.”

A questo punto di solito, data l’impostazione socialista all’argomento, arriva la citazione di un economista di quell’area, con la immancabile quantificazione della perdita di gettito per le casse statali.

“Secondo l’ultimo rapporto di EuTax Observatory, un think tank europeo guidato dall’economista francese Gabriel Zucman, ogni anno i regimi differenziati che puntano ad attrarre persone facoltose costano almeno 7,5 miliardi di euro agli Stati europei. Qualche Paese, certo, ci guadagna, ma nel complesso questa è la cifra dei mancati introiti che dovrebbero alimentare le casse pubbliche e che invece restano nelle tasche dei privati. Nel complesso, dunque, anche la competizione fiscale sulle persone fisiche – non solo quella sulle multinazionali – si traduce in una perdita netta.”

Posto che se un reddito è prodotto legittimamente non dovrebbe essere una notizia negativa che non vada ad alimentare le casse pubbliche e resti invece nelle tasche di chi lo ha prodotto, la quantificazione del mancato gettito è del tutto campata per aria, dato che non esiste alcuna prova certa che, in presenza di regimi fiscali più rapaci, sarebbero restati in Europa. Bontà sua, Mincuzzi riconosce che “sul breve o sul medio termine il Paese che riesce ad attrarre più Paperoni o lavoratori qualificati ottiene alcuni benefici, come dimostra il caso della Gran Bretagna. Londra ha attratto per decenni vip e milionari che hanno trainato il mercato degli immobili di lusso, fatto crescere il business di avvocati, fiscalisti, consulenti, addetti alle pubbliche relazioni, esperti di immagine, negozi di moda e di arredamento. Ma il loro arrivo ha reso Londra troppo costosa e invivibile per la gente comune e ha aumentato le disuguaglianze. Qualcosa di simile sta accadendo – anche se in proporzioni molto minori – anche in Italia, a Milano.”

Detto che regole meno restrittive sullo sviluppo immobiliare potrebbe favorire un aumento dell’offerta e contenere l’aumento dei prezzi, ogni spostamento di persone può generare fenomeni di questo genere, ma sarebbe forse preferibile avere città in cui tutti fossero ugualmente poveri? E quante sono le persone che non avrebbero avuto un lavoro senza l’arrivo di questi signori?

Ma Mincuzzi prosegue sulla stessa linea: “Secondo la Corte dei conti, nel 2022 la misura fiscale per i milionari stranieri o italiani che ritornano in Italia ha attratto nel nostro Paese 1.136 persone. Nel quinquennio 2018-2022 i Paperoni hanno pagato complessivamente circa 254 milioni di euro di imposte. Si tratta in media di poco più di 50 milioni all’anno mentre nel solo 2022 sono stati versati 89,8 milioni. Il Fisco italiano però non conosce né l’ammontare dei redditi esteri sui quali l’imposta sostitutiva agisce, né le imposte ordinarie che sarebbero state effettivamente prelevate su questi redditi senza il regime sostitutivo. Su tutto questo c’è buio fitto, così come sull’entità degli eventuali investimenti che i neoresidenti potrebbero aver effettuato.”

Ci sarà pure “buio fitto”, ma non credo serva essere un genio per quantificare le imposte sarebbero state effettivamente prelevate su qui redditi senza il regime sostitutivo: zero. Perché quelle persone non avrebbero trasferito la residenza in Italia. E come biasimarli…

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