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Una questione etica e morale: essere eletti senza sedere in parlamento

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GERRY-ADAMSdi ENZO TRENTIN

Chi, ancorché eletto, entra nelle istituzioni italiane deve fare giuramento di fedeltà alla Costituzione. Lo fa il Presidente della repubblica in quanto garante della Charta. Lo fanno il Presidente del consiglio dei ministri, ed i singoli ministri. Lo fanno i militari. Ci mancherebbe, dispongono delle armi! Lo fanno gli eletti negli Enti Locali. Un esempio? «BRONTE – Penultimo step prima che a Bronte la macchina amministrativa parta a pieno regime. Ieri sono stati il neosindaco, Graziano Calanna, e i venti consiglieri a prestare giuramento in un’aula gremita di cittadini». (Si veda qui).

Come può un sedicente indipendentista eletto rappresentante nelle istituzioni italiane – quindi, che giura sulla Costituzione – operare per l’indipendenza di una parte del territorio di questo Stato? Esiste una questione morale ed etica? Noi ne siamo convinti, ma poniamo il quesito affinché qualcuno, se del caso, esponga le sue tesi.

La questione morale non ha nulla a che fare con Niccolò Machiavelli: «Il fine giustifica i mezzi». Flavia Tornari Zanette sostiene in proposito: «Il concetto che essa esprime ha probabilmente origini antiche: lo si ritrova, ad esempio, nelle Heroides di Ovidio («exitus acta probat»). L’affermazione suddetta, riferita nell’opinione comune a Niccolò Machiavelli, non trova però riscontro né nel Principe né in altre opere dell’autore. Inoltre non ne riflette il pensiero, anzi lo snatura e lo distorce, allo stesso modo dell’aggettivo “machiavellico” usato sempre con chiara connotazione negativa».

La questione morale riguarda la vita pratica considerata nel suo atto fondamentale di scelta tra bene e male, giusto e ingiusto. L’etico, ovverosia i valori morali; ciò che concerne e riguarda l’etica personale come soggettiva distinzione tra bene e male. Che non è puramente economico, quantificabile e rientra nella sfera dell’interiore, del simbolico, dello spirituale. Quella forza derivante da una determinazione di spirito, d’animo; quella che si ottiene o si dà per stima o per affetto, che avrebbe meritato di vincere, ma che è stato sconfitto per sfortuna; quello che si persegue per fini non lucrativi.

Dunque come possiamo affidare la nostra fiducia, il nostro voto, a coloro che dichiarando fedeltà alla Repubblica italiana ed alla sua Costituzione, dichiarano di operare per l’indipendenza del Veneto o di altre aree italiche? Francois de La Rochefoucauld mahatma-gandhiaffermava: «Non dobbiamo promettere ciò che non dovremmo, per non essere chiamati a svolgere ciò che non possiamo».

Aveva ragione il Mahatma Gandhi laddove sosteneva: «La paura ha la sua utilità, la vigliaccheria non ne ha affatto»? In concreto, alcuni rappresentanti italiani – sedicenti indipendentisti – sono stati premiati non per gli ideali che hanno a parole professato, ma per la disinvoltura con cui hanno agito.

E cosa fanno altrove? Premesso che ogni popolo e Stato fa un po’ ciò che vuole, prendiamo un esempio di etica e morale politica che si riscontra nel 1918, dopo la fine della prima guerra mondiale. La crisi tra Irlanda e Regno Unito si fece più acuta. Alle elezioni per il rinnovo del Parlamento, il nuovo partito irlandese ottenne 23 dei 30 seggi destinati ai rappresentanti dell’isola. Ma questi si rifiutarono di entrare nel Parlamento inglese di Westminster e ne aprirono uno fuorilegge, il Dáil Éireann. Più recentemente, c’è il comportamento dei deputati eletti nelle liste dello Sinn Féin, il partito repubblicano irlandese, che da sempre scelgono la via dell’astensione, rinunciando, malgrado eletti, a sedere in Parlamento della Gran Bretagna, essi lasciano vuoti i posti loro spettanti, e rinunciano agli stipendi per i deputati eletti. Danny Morrison fu uno di costoro. Esponente del Sinn Féin. Fu incarcerato senza processo nel 1972, ai tempi dell’internamento. Durante gli scioperi della fame era direttore del settimanale repubblicano «An Phoblacht/Republican News» (1979-1982), ricoprendo un ruolo di primo piano a sostegno della lotta dei prigionieri. Nel 1982 fu uno dei 5 membri del Sinn Féin eletti alla Northern Ireland Assembly. Arrestato nel 1990, trascorse 4 anni a Long Kesh (maggio 1991-maggio 1995).

Nelle file dell’indipendentismo operano alcuni personaggi che interpretano il loro ruolo con la disinvoltura del consumato attore. Lo scrittore contemporaneo Carl William Brown sostiene: «L’attore deve saper fingere, deve saper mentire, nell’antichità veniva designato con il termine “hypocritès”; ecco spiegato perché i nostri politici sono bravi attori». È anche per questo che i politici cercano di usare un linguaggio altamente tecnico e complesso, persino enigmatico, per svolgere un’azione estremamente semplice e pragmatica, fottere i propri elettori.

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4 COMMENTS

  1. Nel teatrino della politica “democratica” (secondo la interpretazione del blocco NATO-UE) finta, i politici sono solo delle misere comparse che tengono il palco ai primi-attori (capigruppo, ministri e presidenti) che recitano ogni sera la loro parte dagli schermi televisivi per illudere il popolino ignorante di essere rappresentato onestamente.
    In realtà chi comanda opera nell’ombra adottando metodi sporchi (ricatto e corruzione) per tirare le fila dei burattini-politici impiegando strumenti “nobili” e potenti: banche, servizi di informazione (per raccogliere informazioni compromettenti) e media (TV e giornali per “assassinare” mediaticamente i burattini-politici riottosi).
    Non so se nelle altre parti del mondo fuori dall’influenza anglo-USA-sionista le cose vadagno meglio oppure se il regime è più chiaramente visibile. Qui funziona così da decenni (almeno da quando è passato Napoleone e la rivoluzione, i cui metodi sono stati ben appresi dai Saboja e dai mandanti inglesi)

  2. ll politico indipendentista eletto nelle istituzioni italiane potrebbe replicare dicendo che il giuramento è, semplicemente, falso, non intimamente creduto, strumentale. Da ciò, ovviamente, non segue che ogni altro comportamento deve essere segnato da ipocrisia. Si può conservare rigore etico rispetto ad un contenuto e non rispetto ad altri. Il politico eletto nelle istituzioni italiane potrebbe ricordare che chi rileva, giustamente, nel giuramento sulla Costituzione italiana contraddizione e cedimento morale, paga egli stesso le tasse ad uno stato straniero e non è disposto ad andare in prigione per questo motivo.
    Il politico indipendentista che spergiura sulla Costituzione italiana si rivolge ai desideranti l’indipendenza ed indica nella sua persona il mezzo per realizzarla. Il rapporto di fiducia è fondato, da parte dell’elettore, sulla presunzione di un comune desiderio, non sulla moralità del politico.
    Pur supponendo che il politico spergiurante sia mosso veramente dal desiderio di indipendenza per il suo popolo, egli deve essere necessariamente motivato anche dall’aspettativa di accumulo di potere. Si trova così, sempre, in ogni momento della sua attività politica, a dover scegliere tra incremento immediato di potere personale (e la via migliore è la partecipazione alle attività delle istituzioni politiche italiane di ogni livello) e risposta alle proprie passioni indipendentiste. Si tratta di una scelta alternativa. Egli compie sempre la prima scelta e, per giustificarla, sposta in AVANTI la decisione che soddisferebbe la seconda (non discuto ora se si tratti o meno di una scelta razionale).
    E’ proprio ammettendo la buona fede del politico indipendentista che comprendiamo che dietro la scelta che compie c’è la credenza che le istituzioni italiane rappresentino la via migliore per raggiungere l’indipendenza per il suo popolo. Si tratta di chiarire quanto sia razionale questa credenza e verificare se, invece, non si tratti di autoinganno; ovvero di un espediente psicologico utile per poter continuare a dichiararsi indipendentista pur preferendo strettamente l’accrescimento del proprio potere (si noti che il concetto di indipendenza politica evoca la frammentazione del potere politico, non la sua concentrazione, men che meno in una sola persona).
    A mio parere, rispetto all’obiettivo dell’indipendenza di un popolo padano, non c’è nulla di razionale nel seguire la via delle istituzioni politiche italiane. La storia d’Italia, come quella della Spagna, ci parlano di contesti refrattari ai principi liberali e libertari.
    Ma il meccanismo dell’autoinganno sopra indicato (ma non descritto nei suoi particolari) può rispondere, oltre che all’esigenza di accumulare il potere personale, anche ad un strutturale timore reverenziale, ad una soggezione, alla paura di subire una sconfitta da parte dello stato italiano. Spesso si parla di autonomia riferendosi ad essa come ad un passo che necessariamente deve precedere l’indipendenza. E’ un grosso errore che alimenta sospetti e riduce opportunità sia rispetto alla negoziazione dei poteri tra stato centrale ed amministrazioni locali, sia rispetto alla lotta per l’indipendenza politica di un territorio, sia rispetto all’edificazione di indipendenza sostanziale in un popolo.
    L’autoinganno, se alimentato dalla volontà di incrementare il potere personale, colloca la distruzione dello stato italiano, la secessione, nel campo delle scelte vagamente desiderate ma controproducenti. Le preferenze tra potere nello stato italiano ed in un ipotetico stato veneto o padano non sono continue. Per quanto sia piccolo il potere ottenuto nel primo non sarà mai paragonabile a quello ottenuto nel secondo (e in ogni caso si tratterà sempre di scegliere tra tanto nel primo ed altrettanto o poco di più nel secondo).
    L’autoinganno, se generato da paura dello stato italiano, non consentirà di valutare le opportunità di lotta indipendentista probabilmente vincenti.
    L’immoralità del politico indipendentista spergiurante sulla Costituzione italiana messa in luce nell’articolo, e la meno evidente immoralità che grava sulla coscienza di ciascuno di noi nel rapporto con lo stato italiano può essere superata solo nel momento della rivolta, la cui realizzazione dipende da discussioni, azioni individuali e collettive e complicazioni che fanno capo ad altri meccanismi sociali.

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