di MATTEO CORSINI
Terrorizzata dall’effetto annuncio a campagna elettorale in corso, Giorgia Meloni si è precipitata sui social network per dire che “mai nessun “grande fratello fiscale” sarà introdotto da questo governo”. Grande fratello che sarebbe poi il redditometro. Meloni ha detto che, dopo un confronto (leggi: una lavata di testa) con il viceministro Leo (che aveva emesso un decreto ministeriale in materia), sono “giunti alla conclusione che sia meglio sospendere in attesa di ulteriori approfondimenti perché il nostro obiettivo è e rimane quello di contrastare la grande evasione e il fenomeno inaccettabile ad esempio di chi si finge nullatenente ma gira con il Suv o va in vacanza con lo yacht senza però per questo vessare con norme invasive le persone comuni”.
Tutto abbastanza grottesco, dal momento che il redditometro è solo uno dei tanti strumenti a disposizione del fisco. Potrebbe perfino essere inutile, considerando la grande mole di dati che da circa tre lustri e in via crescente sono a disposizione dell’Agenzia delle entrate. L’anagrafe tributaria contiene probabilmente più dati di quanti gran parte dei cittadini sappiano anche riguardo se stessi.
In altri termini, il Grande fratello esiste già da parecchio tempo. Che poi i dati non siano stati del tutto usati non significa che non siano a disposizione del fisco. Cosa che dovrebbe allarmare chiunque abbia a cuore la libertà individuale e il diritto di proprietà, ma che in realtà pare non generare tanto allarme. Anzi, non di rado la reazione delle persone, per lo più quelle soggette a ritenute alla fonte da parte dei sostituti d’imposta (per esempio i lavoratori dipendenti), è del tipo: se non si ha nulla da nascondere, ben venga che i dati siano a disposizione del fisco. Il tutto senza rendersi conto che in una situazione del genere non vi è nulla che, teoricamente, impedisca al governo e alla maggioranza parlamentare pro tempore di inasprire a piacimento il carico fiscale. Il che equivale a una situazione in cui reddito e patrimonio non sono, in realtà, di proprietà di chi li ha legittimamente prodotti, bensì dello Stato, che decide quanto lasciare a costoro.
La stessa retorica meloniana (comune a tanti altri, peraltro) non ha senso logico. Se si vuole contrastare l’evasione, va da sé che il Grande fratello fiscale serve e deve essere utilizzato. In sostanza, se non si riduce il peso (ingombrante) dello Stato e della sua spesa, non ha senso parlare di non aumentare le tasse o non voler vessare i cittadini. Questa è la triste realtà, a maggior ragione quando il debito pubblico è enorme. E siccome in Italia a contendersi il voto ci sono forze politiche caratterizzate da diversi gradi di statalismo, inclini a ridurre la spesa solo a parole (e a volte neppure a parole), il “fratello” fiscale potrà essere solo grande o grandissimo, a prescindere dalle dichiarazioni.
Il grande fratello fiscale esiste eccome.
Oltre al redditometro esistono anche il “riccometro” e lo “spesometro”, tutti strumenti magari poco usati, ma certo mai pensionati.
Inoltre l’AdE ha la possibilità di monitorare i nostri cc tramite il sistema Serpico.
Poi ci sono le segnalazioni delle nazibanche per transazioni rilevanti in contanti o comunque “sospette”, il kyc e il “diligent due” oppressivi coi questionari antiriciclaggio ogni due anni.
Infine le brigate gialle che fermano sempre auto nuove di pacca
(non necessariamente Ferrari o Mercedes, anche medie cilindrate) per vedere un po’ quale evasore se l’è comprata.
La Meloni è fuori di melone.