Il referendum costituzionale italiano si avvicina. La Lombardia, il suo assetto istituzionale ed il suo scenario politico saranno pesantemente influenzati da ciò che accadrà nel prossimo autunno, se vincerà il Sì oppure il No alla riforma. Il nostro interesse non riguarda lo schema politico italiano. Se il Premier Renzi si ritirerà a vita provata dopo un eventuale sconfitta o meno non ci interessa, il governo italiano rimarrà l’oppressore politico ed economico della Lombardia a prescindere da chi ne sarà il capo. Ci interessa invece, e molto, come potrebbe cambiare l’assetto costituzionale italiano, e come potrebbe incidere sulla vita dei lombardi.
A questo proposito, pro Lombardia Indipendenza si è già attivata ed incrementerà la sua attività nei prossimi mesi per sensibilizzare la popolazione lombarda sulla tematica, schierandosi dichiaratamente contro la riforma.
Analizziamone alcuni aspetti salienti. Come movimento indipendentista lombardo, non ci interessiamo del governo e del parlamento italiano. Il superamento del bicameralismo perfetto o il suo mantenimento incideranno molto poco sulle vite dei lombardi. Schiavi fiscali erano e tali rimarranno in ogni caso. Quello che ci preme sottolineare è la retorica che accompagna la creazione del “nuovo senato”, che dovrebbe essere la nuova camera delle autonomie. I membri del senato, 95 più 5 nominati dal presidente, saranno scelti tra i sindaci ed i consiglieri regionali e saranno eletti dai consigli regionali.
Le regioni avranno un numero di senatori proporzionale alla loro popolazione. Arzigogolato, disordinato, ma effettivamente coerente. Una camera espressione dei consigli regionali può essere inserito in un contesto di autonomie locali. Peccato che il nuovo senato non abbia parere vincolante su quasi nessuna tematica, tolti casi come riforme costituzionali e inserimento nell’ordinamento di direttive dell’Unione Europea. Insomma, una camera pensata in modo sbrigativo per mantenere intatto il Velo di Maia che copre la vera essenza di questo paese: uno stato centralista che ignora, o meglio prende in giro, le autonomie locali.
Per quanto riguarda la riforma del titolo V, che regola le autonomie locali, il nuovo art.117 cerca di smuovere l’ordinamento da un impasse strutturale che dura da anni. Il problema è che va nella direzione opposta rispetto a quella che dovrebbe imboccare. Lo stato italiano si riprende numerose funzioni, togliendole alle regioni ed eliminando le competenze concorrenti. Per mantenere anche in questo caso la parvenza di rispetto per le autonomie, spesso troviamo l’indicazione della competenza statale come “indicazioni generali”. Un minimo di vaghezza che sicuramente provocherà dispute tra stato e regioni.
Il comma 4 del nuovo articolo 117 introduce la cosiddetta clausola di supremazia: “Su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale”. Questa decisione rappresenta il tentativo di protezione da parte dello stato delle evidenti spinte centrifughe che attraversano la penisola. Il famigerato art 5 della costituzione, che protegge l’unità territoriale e del potere dello stato, va preservato, anche sacrificando le già destituite autonomie locali.
Per quanto riguarda le nuove competenze esclusive in mano al governo centrale, tradizionalmente lo stato ha considerato la competenza esclusiva come competenza statale in senso tradizionale, ovvero come sinonimo di competenza relativa a legge di interesse dello Stato dunque affidata ad un Parlamento composto da Camere entrambe caratterizzate in senso politico, senza alcun collegamento con le istanze territoriali; nel nuovo contesto costituzionale, invece, anche una legge che coinvolga l’interesse regionale può essere oggetto di competenza legislativa esclusiva statale: in tale ipotesi, dovrebbe essere approvata dalla camera politica ma anche dalla camera rappresentativa delle Regioni. Se il Senato fosse davvero una camera delle Regioni ed avesse la possibilità di incidere nel processo decisionale, questo sarebbe ingiusto, probabilmente miope, ma accettabile. Così non è, e le regioni si ritrovano senza la possibilità di controllare le nuove competenze statali.
In ultimo, le nuove disposizioni sulla democrazia partecipativa. Aldilà di qualche trascurabile cambiamento sulle iniziative popolari(150 000 firme necessarie invece di 50 000), che sono sempre state una pagliacciata senza alcune inferenza sulla politica italiana, le nuove regole del referendum prevedono il mantenimento del quorum al 50%, con un abbassamento al 50% dei votanti alle precedenti elezioni politiche se il comitato referendario raccoglie 800 000 firme, invece di 500 000. Un’enormità.
Un riforma accentratrice, che mette a repentaglio la rappresentatività del sistema, che privilegia la governabilità senza istituire dei procedimenti di controllo e di democrazia diretta da parte della popolazione e delle istituzioni locali. A questa nuova, ed ancor meno democratica, Italia, noi ci opponiamo.
No al centralismo romano!
Perfettamente d’accordo
Cari Lombardi, preparate ed attuate una incisiva e duratura protesta fiscale.
Con le proteste scritte e coi referendum non si va da alcuna parte.