di COSTANTINO de BLASI
Il primo a vedere la luce in fondo al tunnel fu il professor Monti, era il marzo 2012. Poi la rivide poco meno di un anno dopo, gennaio 2013, annunciando con gaudio che non solo che l’Italia stava per uscire dalle tenebre ma che addirittura ci sarebbe stato spazio per la riduzione delle tasse. Le elezioni politiche andarono come sappiamo e il testimone del veggente passò ad Enrico Letta, ottobre 2013, il quale si lanciò in una di quelle previsioni che hanno reso celebre la retorica piddina: “la ripresa c’è ma non si vede”.
Adesso c’è Renzi, e i suoi sodali Padoan e Delrio, che fantastica di riforme e di una ripresa dell’economia abbacinante. Indossiamo dunque gli occhiali da sole perché i raggi u.v.a. stanno per inondare le nostre retine.
A smentire le rosee previsioni del governo però ci pensano il Centro studi di Confindustria e la Corte dei Conti che raccontano una realtà diversa. Le stime di crescita per il 2014 devono essere tagliate dello 0,6, da + 0.8% a + 0.2%. Secondo la magistratura contabile poi la spesa primaria torna a crescere, +1,3%, assorbendo dunque anche il timido tentativo di ripresa. Certo dopo 2 anni di recessione rivedere il segno positivo davanti al denominatore fa un certo effetto, ma uno dei grandi mali del Belpaese è da decenni la crescita asfittica dell’economia reale che in un ventennio si è mossa alla media tutt’altro che strabiliante dello 0,6% annuo. Sul lato della spesa e delle entrate fiscali e tributarie invece, in piena recessione, la prima è cresciuta di 11 miliardi nel triennio 2011-2013 (al netto degli interessi sul debito) e le seconde sono aumentate di 18 miliardi nello stesso periodo.
Uno zero può avere valore nullo o molto grande a seconda della posizione dove lo si mette e Renzi non può non saperlo. Eppure le riforme annunciate in 100 giorni pare che ora ne richiederanno 1000. Il suo ottimismo può essere ammirevole visto che una dote di un premier sembra essere quella di spargerlo a piene mani nelle dichiarazioni pubbliche. Tuttavia la netta impressione è che, dopo le roboanti slide dei primi giorni del suo governo, i toni da piazzista di pentole e materassi stiano lasciando il posto al classico realismo italiano fatto di tasse e provvedimenti d’urgenza.
In queste ore vanno in vigore 2 provvedimenti: l’aumento delle imposte sulle rendite finanziarie e l’obbligo di pos per le partite IVA.
Il primo è un provvedimento che colpisce il risparmio elevando l’imposizione totale in alcuni casi al 33%, ben oltre la famigerata media europea. Gli effetti sulla finanza pubblica sono tutti da verificare mentre quelli sulle aziende che utilizzano i bond per finanziarsi sono potenzialmente devastanti, al pari dell’effetto che avranno i piccoli risparmiatori e i correntisti.
Il secondo è semplicemente demenziale, non essendo prevista alcuna sanzione per chi non ne farà uso per transazioni superiori ai 30 euro (è una mera facoltà dell’acquirente quella di pagare con carta elettronica), ma obbliga contemporaneamente tutti i soggetti dotati di partita iva a dotarsi di un pos con relativi oneri bancari.
Per il 2015 si prospetta la beffa sulle auto. L’IPT, l’imposta provinciale di trascrizione, viene abolita in favore della IRI (nome già di suo sinistro), Imposta Regionale di Immatricolazione, replicando l’osceno balletto delle sigle già visto con IMU-TASER-TARES-TASI-IUC. Nel complesso la tassa di possesso, pardon di circolazione, aumenterà fino al 12% sempre che non sia maggiore perché il PRA, ente inutile che da molti anni si cerca di abolire, non si metta di traverso ancora una volta e rivendichi il suo solito balzello alla voce Certificato di Proprietà.
Insomma noi poveri cittadini in fondo al tunnel non vediamo luce. Vuoi vedere che lo chiamano tunnel e invece è un pozzo?
I dati espressi sono inesorabili. A fronte di una crescita economica sostanzialmente nulla da un paio di decenni (+0,60% di media annua) sono aumentate esponenzialmente le entrate tributarie (ad ogni livello) e la spesa pubblica. Ormai è evidente che la rapina fiscale non avrà limiti e ci sta portando ad una vera guerra tra produttori di ricchezza (sempre in minor numero e sempre più avviliti) e consumatori di ricchezza, intenti a difendere i loro interessi ed i privilegi conquistati senza cedere di un millimetro. Il problema è che una parte (quella che subisce) non si rende conto di essere letteralmente sotto assedio. L’unica via di uscita sarebbe una drastica cura dimagrante del leviatano, ma non lo faranno mai perchè sono così ottusi nella loro avidità che ammazzerebbero lo stesso organismo dal quale traggono nutrimento pur di continuare a succhiargli sangue.
Anche ieri ascoltavo una trasmissione radiofonica su Radio 1. Parlavano di enti pubblici inutili che dovrebbero essere chiusi e di razionalizzazione della spesa pubblica. Uno qualunque degli imbecilli che discutevano ha espresso categoricamente una frase di questo tipo: “Ma no! Lasciare a casa padri di famiglia proprio in questo momento storico, con la crisi occupazionale che ci attanaglia, sarebbe un errore gravissimo!!!”. E nessuno che ha saputo rispondergli a tono. Certo! Abbiamo assunto gente che i giorni pari scava buche ed i giorni dispari le chiude. Ci costano l’ira di dio, stanno portando la società civile al collasso economico, ma non si può lasciarli a casa perchè il lavoro è un diritto e non possiamo toglierlo. Assurdo! C’è ancora troppa ignoranza in questo paese allo sbando.
I detentori del potere, le varie caste di privilegiati mentono, come al solito.