di GIANLUCA MARCHI
La Catalogna, come sappiamo ormai da un paio di giorni, ha deciso di fermarsi e non svolgere la consultazione referendaria prevista dalla legge approvata dal Parlamento catalano, impugnata dal governo di Madrid e sospesa dalla Corte costituzionale spagnola in attesa di una decisione di merito, che potrebbe essere presa entro cinque mesi ma anche di più, se la stessa Corte stabilirà che serve più tempo per decidere. Delusione? Per coloro che pensano che il processo indipendentista sia una passeggiata forse sì. Ma come ho cercato di segnalare in precedenti articoli, era evidente che il processo non sarebbe stato facile e che si sarebbe consumato in un continuo braccio di ferro fra Barcellona e Madrid. Non poteva in alcun modo essere uguale a quanto avvenuto in Scozia, perché lassù la decisione di svolgere il referendum era stata assunta congiuntamente da Edimburgo e Londra, mentre il governo spagnolo ha sempre gridato ai quattro venti che avrebbe impedito in tutti i modi il referendum catalano “contrario alla costituzione”,
Ad Artur Mas non restavano allora che due strade: svolgere comunque la consultazione andando contro il Tribunal costitucional e anche alla maggioranza dei catalani, che secondo un recente sondaggio non vedevano di buon occhio votare contro il parere del Tribunal costitucional, oppure aggirare l’ostacolo e cercare di arrivare allo stesso risultato, cioè far pronunciare i cittadini catalani pro o contro l’indipendenza, attraverso un processo che non possa essere contestato legalmente. Il presidente catalano, che fondamentalmente è un legalitario, ha deciso di optare per la seconda opportunità.
Tuttavia aveva il problema di non deludere e scoraggiare la sua gente nell’immediato, visto che la stragrande maggioranza dei catalani aveva in questi ultimi mesi assaporato il gusto di poter dire la propria il prossimo 9 novembre. Così Mas ha estratto dal cilindro la “consultazione alternativa”, che esula dalle procedure bloccate dalla Corte costituzionale, ma prevede, con l’aiuto dei Municipi catalani, di almeno 18 mila volontari e di tremila funzionari pubblici altrettanto volontari, di organizzare per il 9-N seimila seggi elettorali, la possibilità di votare per tutti i cittadini con più di 16 anni, per gli stranieri comunitari con almeno un anno di residenza in Catalogna e gli extracomunitari con tre anni di regolarità. E con procedure volte a garantire che non avvengano votazioni multiple da parte di una stessa persona. Insomma, qualcosa di assai più di un grande sondaggio al quale gli oltre 7 milioni di catalani sono invitati a partecipare in massa per dire la propria sull’indipendenza della loro terra. E di certo qualcosa di diverso dai plebisciti online nemmeno certificati…
Ma questo è solo il primo step della strategia di Mas, seppure di straordinaria valenza politica. Il secondo, quello veramente “finale” nella battaglia per l’indipendenza, è costituito da elezioni anticipate (che in qualità di presidente della Generalitat, ha il potere di convocare) dove lui “pretende” una lista unica di tutti i partiti sovranisti con un solo punto nel programma: l’indipendenza della Catalogna. Se questa lista vedrà la luce e dovesse vincere le elezioni anticipate, a quel punto Mas conta di costringere Madrid al tavolo dei negoziati per decidere come dividere le strade. E non si capisce come Rajoy potrebbe reagire di forza senza inimicarsi l’intera comunità internazionale, a cominciare dalla tremebonda Ue. In questo modo il presidente catalano, che indubbiamente è anche un abile politico, potrà pure nascondere le indubbie difficoltà in cui versa il suo partito, CiU, attraversato da divisioni fra indipendentisti e autonomisti, e anche in ribasso, nelle intenzioni di voto, rispetto a ERC.
Al momento qualche resistenza alla sua road map viene proprio dagli indipendentisti repubblicani: Oriol Junqueras, leader di ERC, non è contrario alle elezioni plebiscitarie, ma tendenzialmente vorrebbe mantenere le sigle di ciascun partito, anche perché il suo rischia per la prima volta di essere il primo della Catalogna in elezioni politiche. In seconda battuta Junqueras pretende che, se le elezioni dovessero essere vinte dagli indipendentisti, la nuova maggioranza catalana proclami l’indipendenza in Parlamento. Queste oggi sono le differenze fra Mas e Junqueras, indubbiamente i due maggiori protagonisti dell’attuale e storica fase politica catalana. A occhio la quadratura del cerchio non dovrebbe essere così complicata da raggiungere, soprattutto se dalla consultazione alternativa del 9 Novembre dovesse uscire una valanga di sì all’indipendenza.
Ultima considerazione traslata alla disastrata Italia. In Veneto le cose stanno come in Catalogna? Dal punto di vista giuridico sì, con Roma che farà di tutto per bloccare il referendum. Sul fronte politico, invece, le differenze al momento sono sostanziali. A Venezia non c’è, almeno non c’è ancora, un governatore deciso a trasformare le prossime elezioni regionali (primavera 2015) in un plebiscito per l’indipendenza. Se gli amici indipendentisti veneti non riusciranno a stanare Luca Zaia portandolo a dire che le regionali del 2015 saranno elezioni non per governare, ma un referendum fra chi è pro o contro l’indipendenza del Veneto, le somiglianze col caso catalano (considerato l’esperienza pilota anche dallo stesso Zaia) si perderanno nella notte dei tempi.