di ALESSANDRO FUSILLO
Uno dei punti principali del programma del neoeletto presidente della Repubblica Argentina Javier Milei è l’avvio di un ampio programma di privatizzazioni. La questione su come desocializzare un’economia dirigista non è nuova e si pose già in passato all’indomani del presunto crollo dei paesi comunisti. Come sappiamo il crollo non ci è stato, il comunismo è vivo e vegeto e, dopo aver cambiato nome, sta operando la sua marcia trionfale nei cosiddetti paesi occidentali liberali.
L’infausta e proteiforme ideologia oggi ha assunto altre denominazioni: cultura woke, cambiamento climatico, stakeholder capitalism, sovrappopolazione e via elencando. Di fatto, però, nei 34 anni trascorsi dal novembre 1989 il collettivismo caratterizza tutte le società e la presenza ingombrante degli stati nell’economia è aumentata. Il problema su come smantellare un sistema economico collettivista fatto di monopoli, regolamentazioni, espropri sistematici della proprietà privata e presenza di aziende in tutto o in parte pubbliche resta dunque in tutta la sua drammatica attualità. Se ne occupò intensivamente Rothbard nel 1992. (cfr. M. Rothbard, Economic Controversies, una raccolta di saggi pubblicata nel 2011 dall’Istituto von Mises e liberamente scaricabile in formato pdf dal sito internet mises.org; si veda, in particolare il capitolo 23 intitolato “How and How Not to Desocialize”, p. 433 e ss., originariamente pubblicato sulla rivista Review of Austrian Economics 6, no. 1 (1992), p. 65-78).
Ecco cosa pensava Murray Rothbard.
La prima esigenza è quella di chiudere una serie di istituzioni governative che producono disutilità anziché beni suscettibili di una valutazione economica. Nessuno ha interesse ad una gestione efficiente della maggior parte delle attività governative. Campi di concentramento, riscossione delle imposte, burocrazie inutili come i ministeri dell’agricoltura, dell’ambiente, delle pari opportunità, del turismo e spettacolo oppure la pletora di agenzie e commissioni di regolamentazione vanno semplicemente aboliti poiché producono disservizi all’economia. Su questo Milei è stato chiarissimo nel suo ormai celeberrimo video in cui annunciava la chiusura della maggior parte dei ministeri argentini.
Il secondo principio è quello della liberalizzazione. Molte attività economiche sono gestite in regime di monopolio da parte degli stati, come ad esempio il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti o il trasporto pubblico locale. Uno sforzo di eliminazione della collettivizzazione dovrebbe passare anzitutto attraverso l’apertura di questi settori alla libera concorrenza. Chiunque potrà offrire i medesimi servizi concordando prezzi e condizioni di fornitura con i propri clienti. Le regole per lo svolgimento delle attività imprenditoriali devono essere affidate ai contratti, non a qualche autorità. L’eliminazione delle agenzie regolatorie farà sì che le attività imprenditoriali aperte alla libera concorrenza non subiranno l’ingerenza rappresentata da una gabbia di norme in grado di rendere difficile o impossibile la libera contrattazione con i propri clienti. Com’è noto, infatti, una delle forme più efficaci di creazione di monopoli od oligopoli di imprenditori “privati” alleati dei governi è proprio la regolamentazione che crea formidabili barriere all’ingresso in qualsiasi settore economico.
Il problema più grave è quello della privatizzazione delle numerose aziende statali come le televisioni pubbliche oppure le varie società industriali detenute dal governo, anche sotto forma di partecipazioni privilegiate, come ad esempio le compagnie aeree. Rothbard esclude immediatamente come immorale e inaccettabile la soluzione che normalmente viene presentata dai cosiddetti liberali come la via maestra per la privatizzazione, cioè la vendita delle aziende statali a degli operatori privati anche nell’improbabile ipotesi che questi ne vogliano pagare il controvalore alla mano pubblica.
È facile osservare, d’altro canto, che non esiste un prezzo di mercato per le aziende statali sicché qualsiasi prezzo fosse stabilito o concordato sarebbe pur sempre il risultato della coercizione statale. D’altro canto, non ci può essere un prezzo di mercato, rispettoso della proprietà privata, per un bene che deve essere qualificato a tutti gli effetti come refurtiva o bottino di un predone. La proprietà pubblica è illegittima in quanto fondata sull’estorsione sistematica attuata attraverso le imposte. Gli stati non sono proprietari di beni o aziende, ma rapinatori che si sono impossessati con la violenza o la frode di beni sui quali non possono stabilire alcuna legittima pretesa. Non avendo un titolo idoneo a giustificare la proprietà non possono nemmeno incassare il controvalore derivante dalla vendita delle aziende pubbliche (nemo plus iuris transferre potest quam ipse habet, come ci ricorda il brocardo di Ulpiano: D. 50.17.54, Ulpiani liber XLVI ad edictum). Peraltro, l’utilizzazione delle risorse rivenienti dalla vendita dei beni pubblici non potrebbe che essere affidata alla decisione di politici o burocrati, cioè proprio di quella casta di parassiti che si tratta di smantellare.
La soluzione immediata, più semplice e da perseguire sempre, è quella della restituzione. Laddove sia possibile rintracciare coloro che siano stati spogliati dei loro averi oppure i loro eredi occorre reintegrarli nella proprietà sottratta. Ovviamente in uno scenario del genere sarà necessario trovare una soluzione giuridica per la sorte degli indennizzi pagati in sede di esproprio.
Rothbard respinge anche, almeno per le aziende più grandi, l’attribuzione diretta della proprietà ad ogni singolo cittadino. Creare delle società con milioni di azioni distribuite tra tutti i cittadini che diverrebbero soci rischia di essere una soluzione concretamente impraticabile. Né si potrebbe pensare a costituire delle strutture cooperative con vincoli alla vendita della proprietà poiché questo non rappresenterebbe altro che una nuova forma di socializzazione sotto mentite spoglie. Ogni volta che si procederà all’attribuzione di una frazione della proprietà di un’azienda pubblica ai cittadini sarà sempre necessario farlo all’insegna del massimo rispetto della proprietà privata e, pertanto, senza alcun ostacolo affinché i nuovi proprietari possano cedere le loro quote o azioni a chiunque vogliano, anche se si tratti di stranieri. Ovviamente questa soluzione, che è quella che appare immediatamente come giusta, non tiene conto del fatto che un solo paese libero sarebbe immerso in un sistema globale fondato sulla creazione di denaro dal nulla e sull’espropriazione sistematica di tutti attraverso l’inflazione e l’attività criminale degli stati. Che fare, dunque, se i nuovi proprietari vorranno vendere le loro azioni a degli stati oppure a delle società finanziarie, in grado di creare dal nulla i capitali indispensabili per un rastrellamento delle proprietà appena restituite ai cittadini di un ipotetico paese libertario? La soluzione dovrebbe essere quella di una rigida tutela contro le attività criminali. Con la conseguenza necessaria che, ferma restando la massima libertà di disposizione delle proprie quote delle aziende pubbliche privatizzate, queste non potrebbero essere cedute ai complici di attività criminali e, pertanto, a nessuno stato o istituzione pubblica straniera e nemmeno a chi disponga di mezzi economici derivanti dall’attività illecita delle banche centrali e commerciali. Il che restringerebbe di molto la platea dei possibili acquirenti ma garantirebbe, d’altro canto, che non si passi proverbialmente dalla padella del monopolio pubblico alla brace di un nuovo monopolio in mano a stati esteri o corporazioni clienti di banche centrali o commerciali impegnate nell’attività illecita della stampa di denaro o di riserva frazionaria.
Una variante citata da Rothbard era il piano di Vaclav Klaus, il quale propose di attribuire ai cittadini dei voucher rappresentativi del diritto di scambio con un pacchetto di azioni di diverse aziende pubbliche trasformate in società per azioni a questo scopo. Anche questa proposta fu scartata da Rothbard in quanto praticamente impraticabile e comunque tale da creare una burocrazia incaricata dell’allocazione della proprietà delle aziende pubbliche.
Una possibilità praticabile, invece, secondo Rothbard è l’applicazione diretta del principio lockeano dello homesteading. Le aziende pubbliche sono proprietà priva di un legittimo titolare. In una curiosa riedizione del principio marxista “le fabbriche agli operai, la terra ai contadini” Rothbard riteneva che la proprietà delle aziende pubbliche dovesse essere lasciata non tanto ad una generale e indistinta proprietà di tutti, quanto al controllo dei dipendenti che, unendo il proprio lavoro alle risorse rappresentate dalle aziende pubbliche, erano in grado di stabilire un titolo di proprietà basato sull’appropriazione di risorse prive di un valido proprietario. Quanto al problema, facilmente immaginabile, delle pretese che a questo punto verrebbero avanzate dai direttori delle società, espressione diretta della burocratizzazione e socializzazione delle aziende private, Rothbard suggerisce che per i direttori delle fabbriche sovietiche giustizia vorrebbe che si valutasse il loro concreto apporto alla produttività delle aziende e, se questo contributo fosse accertato come inesistente, che li si licenziasse senza compenso lasciando la proprietà a chi contribuisce effettivamente alla produttività aziendale mediante il lavoro. Non sarebbe iniquo immaginare un destino simile per i vari inutili CEO e CFO che, muniti di superflui titoli in materie economiche rilasciati da università attive nella propaganda statalista, popolano, causando danni infiniti, i consigli d’amministrazione delle aziende pubbliche da liquidare. Un possibile temperamento delle difficoltà pratiche immaginabili anche per la soluzione dell’attribuzione della proprietà delle grandi aziende pubbliche ai lavoratori è la loro partizione in unità più piccole che consentirebbero con maggiore facilità l’attribuzione ai cittadini oppure ai lavoratori.
Si pensi alle cosiddette utilities, cioè alle società di somministrazione di energia elettrica, gas o acqua. Oggi si tratta di enormi corporazioni spesso derivanti da passate finte privatizzazioni, cioè dalla sostituzione di un monopolista pubblico con uno privato scelto con criteri politici, clientelari o di banale corruttela. Per restituire queste aziende alla generalità dei cittadini sarebbe utile scinderle in unità molto più piccole, rispetto alle quali le difficoltà di attribuzione di un’azione a cittadino svaniscono.
Non è difficile immaginare che la fornitura dell’acqua, dell’elettricità o del gas in una singola città o in un quartiere di città più grandi possano divenire proprietà comune di un gruppo limitato di cittadini che potrebbero gestire questa proprietà in modo non dissimile, fatte le debite proporzioni, da quanto avviene con un condominio. Tra l’altro, se è consentita una piccola critica al grande economista americano, Rothbard dà per scontato che il modello di proprietà corporativa delle società di capitali sia l’unico modo possibile per strutturare la proprietà comune delle aziende e delle attività economiche. Il modello delle società per azioni è sicuramente quello più adatto alle borse e all’investimento nelle attività aziendali, ma non è detto che questo corrisponda all’interesse degli utenti della fornitura dell’acqua, dell’elettricità o del gas che potrebbero preferire una gestione sul modello della proprietà comune condominiale o degli usi civici medievali. Anche la scelta sul modello di proprietà privata da utilizzare dovrebbe essere lasciata alla decisione individuale dei nuovi proprietari e non è difficile immaginare che la libertà e il rispetto della proprietà privata consentano lo sviluppo di nuove strutture giuridiche oggi in larga misura inimmaginabili a causa del monopolio statale nella creazione di norme aventi la finalità di regolamentare la proprietà privata.
Come osservava Rothbard, gli errori commessi in relazione alla dimensione delle aziende nel passaggio dall’economia collettivizzata ad un sistema libero saranno naturalmente corretti dall’operato del mercato – cioè delle scelte e azioni individuali dei comproprietari – che troverà la dimensione ideale e il modello organizzativo e di proprietà più adatto.
Sintetizzando, la strada per la desocializzazione è la seguente:
- (1) enorme e drastica riduzione di imposte, impieghi e spesa pubblici;
- (2) privatizzazione totale dei beni pubblici, se possibile restituendoli ai proprietari originari o ai loro eredi o, in mancanza, attribuendoli a chi, lavorando, ha stabilito su detti beni un legittimo titolo di proprietà in senso lockeano (homesteading);
- (3) stabilire un sistema di rigida tutela della proprietà privata eliminando qualsiasi interferenza statale;
- (4) privare il governo del potere di creare nuova moneta attraverso la liquidazione e chiusura della banca centrale.
Un programma, quello delineato da Rothbard, molto simile, forse identico, a quello di Javier Milei. Quanto alla misura della riduzione dello stato Rothbard chiude il suo saggio con una citazione del trattato di economia politica di Jean-Baptiste Say: “il miglior programma di finanza pubblica è di spendere il meno possibile e il miglior modo di tassare è sempre il più leggero.” In breve, il miglior governo è quello che spende e tassa di meno e che privatizza di più.
Rothbard conclude il suo saggio ricordando di essere stato criticato dagli altri libertari perché il suo programma coinvolge necessariamente l’operato di un governo. È contraddittorio per un libertario proporre una qualche forma di azione governativa, questo lo avvicina agli statalisti? Rothbard respinge le critiche come poco serie: se un ladro ha rubato qualcosa allora non ha senso affermare che la restituzione della refurtiva alle vittime del reato da parte del criminale possa essere interpretata come un modo per legittimare le sue azioni. In uno stato socialista il governo si è appropriato di tutto. La desocializzione e il passaggio ad una società libera richiedono necessariamente la restituzione della proprietà pubblica ai privati e la liberazione degli individui dalla rete dei controlli governativi. In un senso profondo la liberazione da uno stato socialista richiede che lo stato operi un ultimo, veloce e glorioso atto di autoimmolazione per sparire poi per sempre dalla scena. Quest’atto dovrebbe essere applaudito da tutti gli amanti della libertà, anche se a compierlo fosse lo stato stesso.
Questa è la grande scommessa di Javier Milei e su questa strada non possiamo che augurargli di avere il più grande e completo successo.