di MATTEO CORSINI
Ernesto Maria Ruffini si è dimesso da direttore dell’Agenzia delle Entrate, abbastanza in dissenso con il governo (e con velleità, secondo alcuni, di trovare uno spazio di federatore a sinistra), come emerge da un’intervista rilasciata al Corriere della Sera.
Ruffini sottolinea che non gli era “mai capitato di vedere pubblici funzionari essere additati come estorsori di un pizzo di Stato. Oppure di sentir dire che l’Agenzia delle Entrate tiene in ostaggio le famiglie, come fosse un sequestratore”. In effetti non lo avevano certamente detto esponenti di primo piano dei precedenti governi in carica mentre lui era a dirigere le Entrate. Quelle sono affermazioni solitamente pronunciate da chi avversa la tassazione come violazione del diritto di proprietà, e si tratta di persone che, altrettanto solitamente, non governano.
Vestendo i panni del civil servant indignato, Ruffini aggiunge che “se il Fisco in sé è demonizzato, si colpisce il cuore dello Stato, tanto più che il livello della tassazione lo decide il legislatore, non l’Agenzia. Personalmente ho sempre pensato che a danneggiare i cittadini onesti siano gli evasori”.
Questo è un ragionamento molto diffuso, e certamente non è ragionevole aspettarsi una posizione diversa da chi ricopre quel ruolo, ma i cittadini onesti sono danneggiati molto di più dallo Stato che dagli evasori.
E’ vero che questi ultimi usufruiscono di servizi finanziati con le tasse altrui, ma farei almeno due osservazioni: in primo luogo, non è l’evasore a imporre le tasse a chi le paga, bensì lo Stato. In secondo luogo, potranno esserci pagatori netti di tasse che considerano preferibile finanziare con le proprie tasse i servizi fruiti da consumatori netti di tasse non evasori, ma dal punto di vista meramente monetario non c’è differenza.
Molti dicono che, se tutti pagassero, tutti pagherebbero meno. Lo fa anche Ruffini, affermando che ha “cercato di fare il possibile affinché, anche grazie alla tecnologia, fosse più facile individuare gli evasori, abbassare la pressione fiscale e così pagare meno tasse”. Il che è assai poco verosimile, dato che il vanto di ogni governo è (auto)misurato nella quantità di denaro speso per questa o quella attività e che se non esistessero vincoli la spesa sarebbe infinita. Ciò per dire che se tutta l’evasione fosse recuperata, non ci sarebbe un alleggerimento del prelievo per tutti, ma nuova spesa pubblica.
Cosa che in parte pensa anche Ruffini, quando nota che “spetta alla politica decidere come e dove spendere le risorse. E se quelle a disposizione aumentano ma i soldi non bastano mai, forse dobbiamo iniziare a porci qualche domanda sul modo in cui vengono impiegati”.
Direi che il modo in cui il denaro viene speso è certamente un problema, ma il problema vero è che il miglior modo di spendere è lasciare che i legittimi proprietari di quelle risorse decidano volontariamente come utilizzarle. E il fisco è la negazione di tutto questo.