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Scozia e crimea, storie di secessione e di volontà popolare

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crimeadi REDAZIONE

Un paio di mesi fa, precisamente il 18 settembre scorso, la Scozia decideva la propria sorte. Il referendum in merito alla secessione dalla Madre Patria ebbe l’annunciato esito negativo (55% i contrari, 45% i favorevoli). Adesso Edimburgo attende le riforme devolutive ripetutamente promesse da David Cameron per scongiurare l’agognata separazione.

Qualche mese prima invece l’opinione pubblica internazionale attendeva, con una preoccupazione assai maggiore e non sempre giustificata, l’esito del referendum di annessione della Repubblica indipendente di Crimea alla Federazione Russa: l’esito risultò ampiamente positivo.

I due episodi, formalmente accomunabili per il ricorso alla volontà popolare, mostrano sensibili e sostanziali dissonanze sotto diversi profili.

L’Ucraina è da sempre considerata, per la sua posizione geografica, “Terra di confine” e quindi “di spartizione”. Crocevia di popolazioni russofone ed europee: solo con la Costituzione del 1996 si autoproclama stato indipendente ed unitario, riconoscendo lo stato autonomo di Crimea quale sua parte integrante.

La Russia, nonostante l’adesione della Crimea all’Ucraina, mantiene diverse basi militari di strategica importanza sul territorio che si affaccia sul Mar Nero e continua a contare sulla collaborazione e sulla fedeltà dei molti russofoni residenti nel suddetto territorio.

Quando, sul finire del 2013, il presidente ucraino filorusso Yanukovich viene destituito in seguito alle rivolte popolari di Kiev per i mancati accordi istituzionali e commerciali con l’UE,  il Parlamento della Repubblica autonoma di Crimea approva una risoluzione con la quale chiede alla Russia di avviare un processo di accessione alla Federazione, contestualmente all’avvio delle procedure referendarie per tastare la volontà popolare in merito e tornare alla Costituzione del 1992.

La risoluzione viene dichiarata illegittima dal Parlamento ucraino e della questione viene investita la Corte Costituzionale. Nel frattempo però, ancora prima dell’esito referendario, la Crimea si autoproclama indipendente e la Russia, unica eccezione al mondo, la riconosce in quanto tale. Il referendum popolare poi, con percentuali bulgare, ratifica quanto già deciso.

scozia (1)Anche un’analisi poco approfondita della Costituzione ucraina permette di cogliere con evidenza l’illegalità della separazione. L’art. 134 infatti definisce la Crimea quale parte costituente inseparabile dell’Ucraina. Per lo più, la pratica referendaria è costituzionalmente valida nell’ambito dei cambiamenti territoriali, esclusivamente se praticata a livello nazionale.

Tuttavia ogni scelta costituente non può valutarsi in seno al principio di legalità, ma essendo per sua natura il punto zero della costituenda Nazione, l’unico parametro da considerarsi valido è quello dell’effettività. “La Crimea ha un proprio popolo, un proprio territorio e una propria sovranità?” Qualsiasi valutazione sulla legalità non può che essere successiva alla nascita dell’ordinamento sul quale la stessa è parametrata. Tanto meno ci si deve lasciar trasportare dalle emozioni: una valutazione critica della situazione deve per forza prescindere dalle considerazioni personali sulla scelta dello stato d’annessione e sul suo presidente. Il riconoscimento da parte degli altri stati è poi una mera questione di impalpabile diritto internazionale: poco conta che la comunità internazionale consideri la Crimea territorio temporaneamente occupato, se la Crimea si considera indipendente. Il riconoscimento internazionale, sempre secondo il fondamentale principio di effettività, non può che avere soltanto un valore ricognitivo, o comunque certamente non costitutivo.

La Scozia invece entra a far parte del Regno Unito nel 1707. Con il passare dei decenni riesce ad ottenere ampi spazi di autonomia e nel 1998 viene creato l’attuale Parlamento che legifera su qualunque materia per la quale non è competente il Parlamento londinese. Nel 2012, su iniziativa dello Scottish National Party, viene indetto il referendum secessionista in questione.

La situazione non precipita come in Ucraina, anzi. Il governo inglese, nella persona del premier Cameron intuisce quanto possa essere strategico non opporsi alla pratica referendaria tout court  ed esacerbare i rapporti con i sudditi scozzesi, ma gestirla e governarla dall’alto. Il governo centrale si è sempre opposto al quesito referendario, mai al referendum. Ha persino modificato la legislazione che consentiva solo referendum consultivi, senza obbligo di ratifica del Parlamento. Questa inedita “strategia della paura”, fondata sulla responsabilizzazione della popolazione e sulle promesse di consistenti elargizioni di autonomia ha prodotto l’esito che conosciamo.

E’ chiaro che questi due ragguardevoli e storici eventi secessionisti, diversi per storia, metodi ed esiti, possano essere studiati, rispettati e dovutamente considerati, senza rischiare di diventare feticcio di folcloristiche rivendicazioni.

TRATTO DA RETROONLINE

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