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Scozia, hong kong, catalogna e seborga: tutti i secessionisti del 2020

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di LORENZO LAMPERTI

Il primo mese del 2020, a meno di stavolta imprevedibili colpi di scena, si chiuderà con un evento storico: la Brexit. Il Regno Unito uscirà formalmente dall’Unione europea, anche se poi per tutti i negoziati tra Londra e Bruxelles si aprirà una fase di transizione che potrebbe essere anche molto lunga. Una separazione, appunto, più o meno consensuale tra due diverse entità, una nazionale e una sovranazionale. Ma il 2020 sembra avere un capitolo molto nutrito del suo menù con al centro diverse istanze separatiste che coinvolgono diverse province o regioni autonome all’interno di Stati sovrani che in questo caso non sembrano (quasi mai) per niente d’accordo sull’avviare le pratiche per il divorzio.

A proposito di Brexit, l’uscita dall’Europa si basa molto sull’identità inglese, non britannica, del Regno Unito. Ecco perché il nuovo United Kingdom potrebbe avere molto poco di United. Il centro gravitazionale sarà sempre di più l’Inghilterra, con il fedele Galles come scudiero. Ma attenzione agli altri regni di Sua Maestà. La Scozia, che ha votato in massa nel 2016 per rimanere in Ue e poche settimane fa per lo Scottish National Party in aperto scontro con i conservatori, ha già annunciato che chiederà a Londra di poter organizzare un secondo referendum di indipendenza. Al momento Johnson non è per nulla intenzionato a concederlo, ma le cose potrebbero cambiare dopo le prossime elezioni scozzesi. E in caso di referendum, stavolta l’esito appare scontato con Edimburgo destinata ad andarsene. Attenzione anche all‘Irlanda del Nord. Anche dalle parti di Belfast si è votato in maggioranza per il “Remain” e gli unionisti sono in grande calo, a favore del Sinn Fein, fautore della riunificazione con l’Irlanda che ora non sembra più un’utopia.

Un altro capitolo del separatismo europeo che domina le cronache da anni e lo farà probabilmente anche nel 2020 è quello che riguarda la Catalogna. Il socialista Sanchez sta trattando con Podemos per formare il nuovo governo di centrosinistra ma ha bisogno anche dell’astensione dei catalani dell’Erc per riuscire a insediarsi. Inevitabile che le due parti stiano trattando anche sul futuro della regione di Barcellona, a maggior ragione dopo la sentenza su Junqueras che mette Madrid in una situazione ancor più complicata di quanto già non fosse. Lo “scenario catalano” sembra comunque offrire poche via d’uscita, dopo che il referendum sull’indipendenza del 2017 era stato dichiarato illegale. Prevedibili nuovi momenti di tensione, a maggior ragione se Sanchez non trovasse l’accordo con l’Erc.

Anche la placida Danimarca si trova a far fronte a diversi movimenti separatisti. Lo scorso agosto le Isole Far Oer, che godono di un’ampia autonomia, hanno votato per il rinnovo del proprio parlamento locale, con la netta affermazione del People’s Party, forza euroscettica e indipendentista. Il tutto mentre la Cina sta cercando di aggiudicarsi il controllo del mercato 5G dell’arcipelago. Persino l’immensa Groenlandia, il cui sterminato territorio si trova in realtà molto lontano dalla madrepatria danese, ha delle spinte indipendentiste che potrebbero essere fomentate anche dagli Stati Uniti. Donald Trump aveva infatti dichiarato di essere pronto ad avanzare un’offerta per l’acquisto della Groenlandia a Copenaghen, che ha risposto in maniera sdegnata. La nascita di un nuovo stato indipendente, che potrebbe ricadere sotto il “protettorato” statunitense, offrirebbe a Washington la possibilità di un nuovo avamposto nella regione artica, che potrebbe diventare sempre più importante a livello geopolitico nei prossimi anni con lo scioglimento dei ghiacci e l’aumento della navigazione. Altri movimenti indipendentisti si segnalano nelle Isole Aland (Finlandia), Paesi Baschi (Spagna) e Corsica (Francia).

ASIA E PACIFICO: KASHMIR, HONG KONG MA ANCHE BELUCISTAN, KURDISTAN, TAMIL E BOUGAINVILLE

Nel 2019 si è parlato tantissimo di Hong Kong, forse un po’ meno di Janmu & Kashmir. Ma non c’è dubbio che queste sono le due regioni dove la tensione è più alta. A Hong Kong, regione autonoma speciale della Repubblica Popolare Cinese, le proteste che erano cominciate per rivendicazioni sociali ed economiche si sono poi rimodellate sul tema identitario, utilizzato in modo anche strumentale dagli Stati Uniti per mettere pressione a Pechino, che deve far fronte anche alla probabile vittoria dei filo indipendentisti alle elezioni di Taiwan dell’11 gennaio.

L’India di Narendra Modi ha invece improvvisamente declassato lo status di autonomia del Janmu & Kashmir, dopo le tensioni con il Pakistan nell’area di confine che avevano anticipato le elezioni di aprile che hanno riconfermato il Bjp del sempre più ultranazionalista leader di Nuova Dehli. A proposito di Pakistan, resta alta l’allerta sul Belucistan. Per restare alla “sfera di influenza” indiana, i venti separatisti non si sono mai placati del tutto in Sri Lanka. Dopo l’attentato di Pasqua, le tensioni interne sono anzi aumentate tra la maggioranza buddhista e la minoranza musulmana Tamil, protagonista di una sanguinosa guerra civile conclusasi nel 2009.

La guerra civile in Yemen potrebbe anche portare alla creazione di due diversi stati, uno sotto il “controllo” delle monarchie sunnite del Golfo e l’altro sotto l’influenza dell’Iran sciita. Da tenere sotto osservazione i vari territori curdi, dall’Iraq all’Iran fino alla Siria, dove però l’avanzata turca sembra aver mandato in archivio la possibilità della nascita di una nuova entità. Spostandosi nel Pacifico si trova il più recente sviluppo indipendentista con il referendum di Bougainville, che ha visto la vittoria con il 98 per cento dei separatisti dalla Papua Nuova Guinea, che non sembra comunque intenzionata a riconoscerlo.

AFRICA: AMBAZONIA, BIAFRA, SOMALILAND, ZANZIBAR, ETIOPIA

In Africa, come purtroppo spesso accaduto negli scorsi decenni, le spinte separatiste stanno portando all’esplosione di nuove guerre civili o repressioni a dir poco sanguinose. Il Camerun è l’esempio più recente. Nel 2017, Sisiku Ayuk Tabee, presidente della regione anglofona conosciuta come Ambazonia, ha proclamato la nascita della repubblica omonima. Da allora il governo del francofono Biya ha preso di mira i leader politici separatisti e non solo, in un conflitto che sta diventando sempre più grave, tanto che diversi profughi della regione sono fuggiti nei paesi vicini, compresa la Nigeria, dove in realtà prosegue ancora la lotta indipendentista del Biafra, che già ha causato un conflitto negli scorsi decenni.

Così come non si placa la spinta separatista di Zanzibar, che non ha mai accettato l’annessione alla Tanzania. Altri focolai aperti per il continente sono quelli delle regioni del Kasai e del Katanga all’interno della Repubblica Democratica del Congo. Si tratta delle aree celebri per le proprie risorse di diamanti, che vorrebbero dunque far valere maggiormente questo vantaggio enorme dal punto di vista delle risorse naturali. Un altro capitolo aperto è quello del Somaliland, che ufficialmente fa parte della Somalia ma da decenni ormai non ha più alcun legame politico con Mogadiscio e si amministra in maniera autonoma anche se non viene riconosciuto da nessun’altra nazione sovrana. Coinvolta anche la celebrata Etiopia del nuovo premio Nobel per la Pace Abiy, dove le etnie locali chiedono a gran voce maggiore autonomia.

AMERICHE: ALBERTA, QUEBEC, CHIAPAS, MA ANCHE CALIFORNIA E TEXAS

Anche Oltreoceano non si è esenti da spinte indipendentiste. Anzi. In Canada sono persino aumentate, come dimostrano le elezioni dello scorso ottobre, nelle quali le forze filo indipendentiste di Alberta Quebec hanno registrato ottimi risultati. Complice l’indebolimento della leadership di Justin Trudeau, gli autonomisti locali potrebbero tornare ancor più alla carica nel 2020. Scendendo verso l’America Centrale, anche in Messico è sempre attivo il movimento zapatista che sogna l’indipendenza del Chiapas dal Messico. Ma anche gli Stati Uniti hanno i loro movimenti autonomisti, in particolare in California e in Texas, due Stati agli antipodi (il primo ultra democratico e il secondo ultra repubblicano) che in realtà in futuro potrebbero diventare più simili di quanto non si potesse immaginare a causa della crescita dei cittadini ispanoamericani. Anche a Porto Rico è attivo un movimento indipendentista, che potrebbe prendere nuovo slancio dopo lo scandalo che ha visto coinvolto il governatore Gonzalez Molina, costretto a dimettersi.

ITALIA: COL SOVRANISMO CI SI SCORDA LA PADANIA. IL CASO DEL PRINCIPATO DI SEBORGA

In Italia la crescita del sovranismo, rappresentato soprattutto da Lega e Fratelli d’Italia ma anche dal nuovo Vox Italia di Diego Fusaro, sembra aver placato i desideri di indipendenza che avevano coinvolto negli scorsi decenni in particolare la Padania. Ma in realtà, in Sardegna, Sicilia, Trieste e Alto Adige chi sogna di lasciare l’Italia c’è ancora. Una menzione speciale la merita il principato di Seborga, un piccolo paesino in provincia di Imperia che ritiene di essere indipendente e preannuncia che ricorrerà alla giustizia europea.

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