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Se l’evasione fosse azzerata, molte imprese morirebbero!

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di MATTEO CORSINI

Sul Sole 24 Ore del 5 aprile, Paolo Bricco informa i lettori di uno studio condotto da Emmanuele Bobbio, economista della Banca d’Italia, dal titolo “Tax evasion, firm dynamics and growth”. Secondo Bricco, il modello costruito da Bobbio porta a risultati chemettono a nudo una delle radici malate dell’albero, oggi sempre più bonsai, del capitalismo produttivo italiano: la realtà è composta da piccole imprese che tendono a evadere o a eludere le imposte; l’abitudine ad avere comportamenti fiscali scorretti rende malsanamente utile non crescere, dato che lo sviluppo del perimetro aziendale implica un maggiore controllo da parte delle autorità; quelle stesse imprese non crescono e dunque non innovano e, allo stesso tempo, non innovano e dunque non crescono.

Fin qui nulla di nuovo. Sicché poi si legge ancora nell’articolo: L’ipotesi di un azzeramento dell’evasione – a parità di tutti i pesi a carico delle aziende (Ires, Iva, Irap e cuneo fiscale) – modifica in misura radicale lo scenario industriale italiano. In questo modello, l’indice della dimensione media di impresa passerebbe da 1,62 a 2,03: la dimensione crescerebbe di un quarto. L’ipotetica dinamica dell’innovazione muta se si circoscrive bene la dimensione di impresa: se tutto di un colpo si cancellasse l’infedeltà fiscale, nelle grandi imprese la probabilità di generare una innovazione in un anno salirebbe dal 6 al 7% per linea di prodotto; nelle piccole aziende – quelle già innovative – passerebbe dal 3,2% al 7 per cento. Dunque, nel primo caso non cambierebbe in maniera significativa. Nel secondo caso, invece, cambierebbe tutto. La capacità innovativa delle piccole imprese raddoppierebbe”.

Chiunque abbia un minimo di dimestichezza con i modelli econometrici sa che, dietro l’apparenza della scientificità (che Hayek avrebbe chiamato “scientismo”), ci sono sempre assunzioni soggettive tra gli input. Il che è uno dei motivi per cui la loro capacità predittiva non è significativa. In questo caso, credo che il semplice buon senso dovrebbe far venire qualche dubbio. In pratica, ci viene detto che se le piccole imprese pagassero tutte le tasse sarebbero anche più innovative, perché, par di capire, sarebbero prima costrette a crescere dimensionalmente.

C’è un problema: se l’evasione fosse azzerata è lecito supporre che molte imprese semplicemente non sopravviverebbero. Ma la riduzione del numero delle imprese e, forse, la crescita dimensionale di quelle superstiti, non è affatto detto che porterebbe a un maggior tasso di innovazione. Di sicuro molta gente che oggi lavora nelle imprese supposte covi di evasori sarebbe disoccupata, con costi più o meno consistenti di stato sociale.

Ma Bricco pare non avere dubbi sui numeri di Bobbio. In linea generale, in una Italia non più Italia – quindi, con comportamenti fiscali irreprensibili da parte di tutte le imprese – la spesa per l’innovazione salirebbe dall’attuale 2,58% del Pil a un ipotetico – e assai desiderabile – 3,52 per cento. La dimensione media delle aziende aumenterebbe da 4,1 a 5,1 addetti. La quota di valore aggiunto prodotto da imprese innovative crescerebbe dall’attuale 74,7% a 82,4 per cento. E ci sarebbe perfino un effetto sulla condizione terribile dallo “sviluppo” “zeroqualcosa”: da un tasso di crescita annuo del Pil dello 0,92% si passerebbe all’1,13 per cento”.

Sembrerebbe il giardino dell’Eden. Ma a me resta il dubbio che se le imprese versassero più risorse allo Stato mediante tassazione, aumenterebbero al tempo stesso la spesa per innovazione. E qualche dubbio dovrebbe venire anche a Bricco, in base a quanto riporta nella parte finale dell’articolo. “Emmanuele Bobbio, nel suo modello, fa muovere l’alfiere del livello di tassazione, tenendo ferma la torre dei comportamenti fiscali impropri. Nel caso delle grandi imprese, con questo modello a evasione costante e a pressione fiscale calante, la probabilità di generare una innovazione in un anno, per linea di prodotto, resta pressoché identica alla realtà attuale: intorno al 6 per cento. Differente la reazione a un calo delle tasse da parte delle piccole imprese (quelle già capaci di innovazioni) la cui probabilità di creare innovazione nell’anno successivo – oggi attestatasi intorno al 3% – sale fino al 4,1% nel caso che la leva adoperata sia quella di una riduzione dell’Ires corrispondente a un punto di pressione fiscale”.

Addirittura, parrebbe che un calo della tassazione avrebbe sulle piccole imprese un effetto di spinta all’innovazione minore rispetto al caso in cui non vi fosse tale riduzione. Seguendo una logica distorta bisognerebbe arrivare ad auspicare un aumento delle tasse per veder crescere maggiormente l’innovazione. O, forse, si dovrebbe dubitare della capacità di questo genere di studi di avvicinarsi a una rappresentazione del mondo reale.

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3 COMMENTS

  1. Dato che confiniamo con la Svizzera, e loro stanno molto, molto meglio di noi, facciamo una cosa semplicissima, copiamo pari pari, il loro sistema amministrativo, fiscale. Ma siccome il nostro è uno stato mafioso, credo purtroppo che ciò non succederà mai.

  2. Continuerò a ripetere fino alla nausea. Immaginiamo che, con un colpo di bacchetta magica, lo Stato riesca a recuperare TUTTA l’evasione .Sono possibili due esiti.
    A.- Aumenterebbe di scoppio la pressione fiscale con le conseguenze ben note
    B.-Ridurrebbe le tasse nella stessa misura che ha incassato. Muoverebbe l’economia , ma non risolverebbe il problema del debito.
    Quale sarebbe la soluzione migliore ( e, dico io , unica)? Ridurre i COSTI di STRUTTURA!

  3. Credo che se l’evasione fosse azzerata oltre alla sparizione di numerose imprese si avrebbe anche un crollo dei consumi, che ritengo in gran parte alimentati proprio dal sommerso.
    L’azzeramento dell’evasione provocherebbe quindi un calo di gettito per l’erario perché le imprese aperte pagano delle tasse, con il sistema fiscale italiano è impossibile per chiunque, anche se in perdita, non parare qualche cosa in veste di tassazione o imposizione, un calo di gettito per l’aumento della disoccupazione (ed aumento dei costi per l’assegno di disoccupazione, un calo di gettito per l’Iva per la diminuzione dei consumi.
    Keynes era convinto che esistesse un moltiplicatore fiscale, se fosse vero l’Italia sarebbe il paese più ricco del mondo, sarebbe interessante fare uno studio sul “diminutore fiscale”, nel senso che una volta oltrepassata il punto di vertice della curva di Laffer ad ogni aumento di imposizione corrisponde una diminuzione di gettito più che proporzionale. L’Italia è un ottimo caso di studio in tal senso. In breve: se la coperta è corta a causa dell’eccessiva spesa pubblica ogni tentativo di tirare la coperta di qua o di la per coprire la spesa causa solo un danno collettivo maggiore alle azioni. La riprova è anche che il Belgio o la Spagna nei periodi in cui rimasero senza governo videro il PIl aumentare. Se i governi più che danni non provocano allora la conseguenza immediata è che la sfera statale deve essere minima e le eventuali azioni governative essere demandate ai governi locali. Dove vediamo tutto ciò? In Svizzera, ed infatti se la passano benissimo….

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