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Secessione, libertà e democrazia diretta: qualche lettura consigliata

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libridi GUGLIELMO PIOMBINI

Nicola Iannello e Carlo Lottieri, studiosi di orientamento libertario, hanno presentato e raccolto nel libro Secessione. Una prospettiva liberale (La Scuola, € 12,50) una serie di testi di Thomas Jefferson, Ernest Renan, Ludwig von Mises, Robert McGee, Murray N. Rothbard e Hans-Hermann Hoppe sui fondamenti politici e filosofici del diritto di secessione. Con diversi accenti e prospettive, questo autori concordano sul fatto che il riconoscimento illimitato del diritto di secessione assicurerebbe la nascita di ordinamenti politici realmente fondati sul consenso degli abitanti, e sancirebbe la fine degli attuali Stati gerarchici, autoritari e illiberali.

Nella sua prefazione Lottieri evidenzia come l’epoca dello Stato-potenza, che tanto ha affascinato gli intellettuali e le masse nel secolo scorso, sia ormai alle nostre spalle. Il grande successo economico delle città indipendenti come Singapore o Montecarlo e delle piccole realtà regionali come i cantoni svizzeri, il Lussemburgo o L’Estonia dimostrano come gli Stati nazionali di grandi dimensioni abbiano fatto ormai il loro tempo. Alla luce dell’evoluzione in atto, conclude Lottieri, è sempre più chiaro che le istituzioni statali ereditate dall’età moderna sono costruzioni artificiali che negano le libertà fondamentali, e intralci quasi insuperabili per quanti vogliano offrire una prospettiva ai propri figli e nipoti.

Il discorso viene continuato nella seconda prefazione da Nicola Iannello, il quale punta i riflettori sul concetto di “nazione”: un’idea che gli Stati moderni hanno spesso utilizzato in maniera perversa, per fini di dominio e di spogliazione. É la nazione che crea lo Stato, si chiede Iannello, o è lo Stato che crea la nazione? L’Italia è una nazione perché è diventata uno Stato, o è diventata uno Stato perché è una nazione? Il caso dell’Italia in realtà è paradossale, perché una nazione che non c’era ha fatto uno Stato che come compito si è proposto quello di fare una nazione. Per conseguire questo obiettivo, nota Iannello, durante la prima guerra mondiale, il battesimo del fuoco dello Stato italiano, al costo “modesto” di 630.000 morti vennero “liberati” 650.000 italiani e inglobati 700.000 non italiani nel Regno d’Italia: un morto per ogni italiano acquistato e per ogni straniero inglobato!

Se lo Stato italiano è sorto da una serie di guerre di conquista, di repressioni contro le popolazioni invase e di plebisciti truffa, la Svizzera rappresenta invece l’esempio opposto. La Confederazione elvetica è nata infatti dalla progressiva unione consensuale di comunità locali che hanno conservato buona parte dei loro diritti originari. Leonello Zaquini, ingegnere bresciano emigrato in Svizzera nel 1997, fa l’elogio delle istituzioni elvetiche nel libro La democrazia diretta vista da vicino (Mimesis, € 16,00). La Svizzera, ricorda l’autore, è il frutto di una rivolta popolare del Medioevo miracolosamente arrivata fino a noi. I suoi istituti di democrazia diretta eliminano il monopolio del potere legislativo e costituiscono un valido antidoto alle frequenti degenerazioni dei sistemi a democrazia rappresentativa. Oggi sarebbe un errore fatale, conclude Zaquini, non tener conto degli esempi e dei modelli che vengono dalla Svizzera, i quali possono aiutare altri paesi e l’Unione Europea a risolvere i propri problemi.

libri_scuola1Questa ammirazione per le istituzioni elvetiche era condivisa anche dall’economista liberale Wilhelm Röpke, il quale si rifugiò in Svizzera negli anni Trenta per sfuggire al nazismo. Oggi l’editore Rubbettino ha pubblicato Al di là dell’offerta e della domanda. Verso un’economia umana (€ 16,00, a cura di Dario Antiseri e Flavio Felice). Questo libro, uscito originariamente in Svizzera nel 1958, rappresenta una sorta di testamento spirituale dell’autore, le cui idee favorevoli al libero mercato ebbero una notevole influenza nel periodo della ricostruzione e del miracolo economico tedesco del secondo dopoguerra. Röpke critica il collettivismo, la moderna società di massa, lo stato assistenziale, le politiche inflazionistiche, il centralismo.

Röpke era amico e collega di un altro grande economista liberale, Friedrich von Hayek, del quale l’editore Rubbettino nel libro Nazionalismo monetario e stabilità internazionale (€ 10,00, con prefazione di Lorenzo Infantino) propone cinque lezioni inedite sui temi monetari tenute a Ginevra nel 1937. Lo studioso austriaco criticava già allora il nazionalismo monetario sostenuto dai keynesiani e dai “sovranisti” di oggi, facendo notare come fosse impossibile per le autorità monetarie regolare in maniera corretta la quantità di moneta di un paese che faceva parte di un più vasto sistema economico internazionale. Una moneta nazionale indipendente pertanto non isolerebbe un paese dagli shock finanziari generati all’esterno.

Uno dei maggiori studiosi italiani del pensiero di Hayek, Dario Antiseri, è invece l’autore di un altro saggio proposto dall’editore Rubbettino: Il “buono-scuola” per una “buona scuola (€ 7,00). L’autore difende il sistema dei voucher in nome della sussidiarietà e della parità economica e giuridica fra scuole pubbliche e private. Le scuole statali serie, scrive Antiseri, non hanno nulla da temere dall’introduzione del buono-scuola.

Anche l’economista americano David Easterly, grande critico degli “aiuti allo sviluppo” destinati ai paesi del terzo mondo, ha richiamato le idee di Hayek nel suo nuovo libro La tirannia degli esperti. Economisti, dittatori e diritti negati ai poveri (Laterza, € 28,00). Friedrich von Hayek e Gunnar Myrdal, i due economisti che condivisero il Premio Nobel nel 1974, avevano infatti idee opposte sulle strategie per far uscire i paesi poveri dalla miseria. Il primo dava importanza all’esperienza storica, il secondo favoriva l’approccio della tabula rasa; il primo parlava di benessere degli individui, il secondo di benessere delle nazioni; il primo andava alla ricerca di soluzioni spontanee, il secondo voleva imporre un progetto consapevole.

In verità il dibattito tra i due rivali non si svolse mai, probabilmente perché Myrdal temeva che lo sviluppo economico pianificato alla prova dei fatti non avrebbe funzionato, e aveva paura di perdere. La storia ha confermato infatti la correttezza della visione dell’economista austriaco, dato che tutti gli approcci tecnocratici imposti dall’alto hanno miseramente fallito. Per quanto l’immagine dell’autocrate benevolo eserciti ancora un grande fascino, il benessere per tutti arriverà solo dal basso, grazie all’intraprendenza privata e ai commerci degli individui. Il libero mercato, scrive Easterly, in fondo non è altro che una “associazione di risolutori di problemi”. 

IN COLLABORAZIONE CON LIBRERIA DEL PONTE

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2 COMMENTS

  1. Sia la tesi di von Hayek che quella di Myrdal lasciano il tempo che trovano. Più utile sarebbe una traduzione di “IQ and the Wealth of Nations” di Lynn e Vanhanen. Questi hanno riscontrato una forte correlazione positiva (0,7) tra intelligenza e reddito nazionale pro-capite. Nell’attuale clima intellettuale marxista si chiude un occhio sulle ovvie differenze innate dei popoli e ci si concentra sulle ideologie e sui parametri istituzionali.

    • Il libro di Myrdal, “An American Dilemma: The Negro Problem and Modern Democracy” (1944) spianò la strada non solo all’abolizione delle leggi sulla segregazione (OK) ma all’associazione coercitiva (busing, ecc.). Dalla padella…

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