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Serve una legge… per proteggere la lingua nazionale

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di MATTEO CORSINI

Mi è capitato spesso di indicare la Francia come pessimo punto di riferimento dal quale prendere esempio. Purtroppo in Italia non di rado si guarda a nord ovest delle Alpi per elogiare e proporre di copiare questa o quella iniziativa. Per esempio, Paolo Armaroli scrive sul Sole 24Ore:

  • “Un centinaio di intellettuali francofoni si sono rivolti al presidente della Repubblica Emmanuel Macron affinché protegga la lingua francese dal colonialismo angloamericano. Nella convinzione che la lingua è uno dei cardini dell’identità nazionale. Per non restare nel vago, hanno pensato bene di mettere i puntini sulle i. Per cominciare, il presidente si astenga dall’esprimersi in inglese nelle sue visite all’estero. Inoltre, a tutela della lingua francese promuova una legge che sanzioni chi disattende la normativa. Infine, occorre evitare che nelle università s’impartiscano corsi in inglese. Tanto rigore ha la sua brava spiegazione: perfino in Francia la lingua batte dove il dente duole”.

Che si guardi con interesse a un appello liberticida che prevedrebbe persino di impedire per legge (con tanto di sanzioni per i trasgressori) l’uso di una lingua straniera a me pare assurdo.

Evidentemente non è così per Armaroli.

  • “E noi come stiamo? Siamo più immobili di un paracarro. La nostra lingua è un’illustre sconosciuta. L’abbiamo smarrita e non facciamo nulla per ritrovarla. Il pesce, si sa, puzza dalla testa. La nostra Costituzione evoca la lingua soltanto due volte. Una come sostantivo, all’articolo 3. E un’altra come aggettivo, all’articolo 6. Che recita: «La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche». Insomma, la nostra legge fondamentale contempla l’eccezione, ma non si cura della regola. Omette di dire che l’italiano è la lingua ufficiale della Repubblica. Perché? Nella seduta del 12 dicembre 1996 Luciano Violante la spiegava così: «Il problema della lingua italiana non si pose nei lavori della Costituente perché allora non fu sentita come un’esigenza». Una spiegazione che mette i brividi”.

Ma come? I “padri costituenti”, che in Italia devono essere trattati come semi-divinità, vengono ora criticati perché non sentirono l’esigenza di stabilire costituzionalmente che l’italiano fosse la lingua nazionale? Armaroli si lamenta poi del fatto che i tentativi di emendare la costituzione sono stati sempre privi di successo. Per arrivare a concludere così:

  • “Nel 2004 Tullio De Mauro osservava sconsolatamente che «più di due milioni di adulti sono analfabeti completi, quasi quindici milioni sono semianalfabeti, altri quindici milioni sono a rischio di ripiombare in tale condizione e comunque sono ai margini delle capacità di comprensione». Siamo sempre più nel Paese degli asinelli. Ci vorrebbe un elettrochoc. E il pensiero corre al Quirinale, dove san Sergio si aggiunge a San Francesco come patrono d’Italia.”

Altro classico del repertorio statalista, rivolgersi al santo laico che risiede al Quirinale, come se potesse con una bacchetta magica risolvere ogni problema.

Ora, credo sia bene fare chiarezza: che l’italiano sia bistrattato, non di rado anche da parlamentari e ministri, non è in discussione. Il congiuntivo, per esempio, è indubbiamente ignorato (o stuprato) da una porzione non trascurabile di italiani. Ma l’analfabetismo non ha nulla a che vedere con l’utilizzo di altre lingue o con la mancata costituzionalizzazione dell’italiano.

Per quanto si possa ritenere sgradevole sentire persone che utilizzano (magari italianizzandoli) termini presi a prestito dall’inglese, inserendoli in una frase nella quale, per di più, ci si può imbattere in maltrattamenti della grammatica italiana, la questione non si risolve per legge. Men che meno scimmiottando degli (pseudo)intellettuali francofoni.

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1 COMMENT

  1. L’italiano è una lingua artificiale senza anima. La riprova è la sua incapacità di creare neologismi: un tempo si ricorreva al latino-greco oggi si scopiazza dall’inglese il quale, invece, crea ne facilmente come smog (smoke+fog) senza ricorrere lingue straniere oppure morte.
    Altra riprova è l’estrema “regionalizzazione” dell’italiano. La maggior parte dei proverbi sono acquisiti da lingue e dialetti locali, l’italiano parlato a Palermo è estremamente diverso da quello parlato a Torino, sia come pronuncia che come grammatica. Infine ci sono frasi come “marinare la scuola” praticamente usate da nessuno e solo con l’alternativa variante locale che cambia da regione a regione. Stesso discorso con il dolce di carnevale (bugie, chiacchere, frappole, ecc.) di cui sinceramente ignoro la denominazione in italiano (la conosco in francese (oreillettes…) il che è tutto detto. Parlo il piemontese che è la lingua che conosco meglio: ha una ricchezza di vocabolario, sconosciuta dall’italiano con espressioni e nomi spesso intraducibili. Sinceramente non ho ancora capito perché se il piemontese e il Veneto sono lingue codificate, più antiche dell’italiano, riconosciute dall’Unesco, se la Costituzione italiana non impone l’italiano come lingua ufficiale (e ci mancherebbe), queste due lingue non vengano utilizzate nelle scuole, negli uffici pubblici e per i documenti ufficiali.

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