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Quelli che “servono politiche economiche globali”

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PLANISFEROdi MATTEO CORSINI

«Gli ultimi anni hanno eroso la fiducia nella capacità delle economie di riportarsi in equilibrio dopo una crisi. I danni provocati dagli ultimi shock anzi mostrano di incancrenirsi, creano un senso di declino che si scarica sugli attori economici più deboli, fino ad avere conseguenze politiche inedite. Per questa ragione, dopo una crisi globale, gli adeguamenti strutturali dovrebbero essere accompagnati da politiche monetarie e fiscali “non convenzionali”». Da qualche tempo Carlo Bastasin va auspicando il coordinamento delle politiche economiche a livello globale. Una cooperazione tra Stati e banche centrali che già nella prima metà del Novecento Mises considerava diretta per lo più all’espansione monetaria. Anche in questo i fatti hanno dimostrato che aveva ragione.

Quella di Bastasin è una posizione abbastanza diffusa tra gli interventisti di vari orientamenti: invece di mettere in discussione gli interventi in quanto hanno provocato ulteriori distorsioni aggravando la situazione senza risolvere i problemi, adesso si invoca il coordinamento globale. A mio parere siamo ormai pienamente nel campo del surreale. Non riuscirei a definire in altro modo una affermazione del tipo “gli ultimi anni hanno eroso la fiducia nella capacità delle economie di riportarsi in equilibrio dopo una crisi”.

Sembra quasi che si sia reduci da anni in cui Stati e banche centrali hanno assistito passivamente a quello che succedeva e stiano ora constatando che il laissez faire non ha fatto altro che “incancrenire” la crisi. Ovviamente anche la crisi, secondo questo modo di vedere le cose, avrebbe origine da un periodo di assoluta assenza di interventi da parte di Stati e banche centrali. Quindi adesso servirebbero politiche monetarie e fiscali “non convenzionali”.

Ora, i fatti dicono che siamo reduci da anni in cui le banche centrali hanno dapprima azzerato i tassi di interesse, poi hanno comprato quantità ingenti di titoli di Stato (e non solo) creando base monetaria, e adesso hanno iniziato anche a portare i tassi in territorio negativo. Ma pare che per Bastasin tutto questo non sia sufficientemente “non convenzionale”.

Quanto alle politiche fiscali, probabilmente si vorrebbe che gli Stati potessero allargare i cordoni della borsa senza che questo aumentasse il debito pubblico. Pare che il quantitative easing, che ha portato in diversi casi ad azzerare (o a rendere negativo) il costo marginale del debito pubblico, non sia più sufficiente. Ma il passaggio successivo non è altro che la monetizzazione diretta della spesa pubblica.  Il tutto dovrebbe accompagnare gli “adeguamenti strutturali”, che, però, i governi tendono a non fare se il debito è un non problema. In fin dei conti la “non convenzionalità” invocata non sarebbe altro che un ritorno al passato.

Un passato costellato da disastri, ma che evidentemente oggi è rimpianto. D’altra parte, se si ritiene che sia colpa delle economie se non si esce dalla crisi, a me pare evidente che siamo in presenza di una percezione della realtà vagamente distorta.

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