di MATTEO CORSINI
Chi mi legge sa che sono abituato a leggere o sentire cose a me indigeste. Con Joseph Stiglitz di recente sono stato messo a dura prova, nonostante anni e anni di pratica.
In quella che è stata definita una lezione tenuta alla Cattolica, ma che in realtà a me è parso un groviglio di giudizi inconsistenti dal punto di vista logico e pure male argomentati, Stiglitz (ri)lancia una idea di capitalismo progressista.
Che poi non sarebbe altro che una diversa denominazione di qualcosa che non vuole definire socialismo perché manterrebbe una parvenza di economia di mercato, sempre che il mercato si comporti bene, ossia in linea con ciò che Stiglitz ritiene giusto.
Per motivi di spazio, mi limito ad alcune pillole.
Sulle esternalità, qui intese solo in senso negativo, Stiglitz porta un paio di esempi, che ovviamente richiedono l’intervento d’autorità da parte dello Stato.
- “La decisione di alcuni individui di non indossare una mascherina o di non farsi vaccinare aumentava le probabilità degli altri di contrarre il Covid-19, di essere ricoverati in ospedale e perfino di morire. Gli appassionati di armi sembrano credere che la libertà di girare con un fucile AK-15 sia più importante della libertà degli altri di vivere. E’ uno spettacolo a cui assistiamo quasi ogni giorno negli Stati Uniti, dove gli omicidi di massa non danno segno di arrestarsi.”
Mascherine e vaccino furono inizialmente raccomandati, poi imposti, per evitare di contrarre il virus e di contagiare altri. Fu poi appurato che non fossero efficaci come prospettato. Ma il punto credo sia un altro: ognuno dovrebbe essere libero di indossare anche tre mascherine e vaccinarsi ogni 6 mesi. Perché imporlo a tutti? Non è evidente che, sposando il principio sottostante, qualsiasi cosa potrebbe finire per essere imposta a chiunque? Quella sarebbe libertà?
Quanto alla libertà di girare con un fucile AK-15, ragionare alla Stiglitz significa fare equivalere il possesso dell’arma al suo utilizzo per commettere omicidi. Non mi sfugge, ovviamente, la differenza pratica tra un mitragliatore e altri oggetti che possono essere usati per ferire o uccidere, ma, anche in questo caso, non è automatico il fatto che possedere l’arma comporti l’utilizzarla a scopo di aggressione.
Oltretutto, dove si metterebbe il limite ai divieti? Suppongo solo dove Stiglitz lo ritenesse giusto. E quello dovrebbe essere giusto per tutti. Ovviamente non poteva mancare un attacco ai libertari.
- “La destra, soprattutto i libertari, obietta alle redistribuzioni che emergono da questo tipo di analisi sulla base di un supposto diritto morale ai loro guadagni: sono la giusta ricompensa dei loro sforzi e dei loro risparmi.”
Si chiamerebbe diritto di proprietà e andrebbe visto assieme al principio di non aggressione. Ma Stiglitz non ha evidentemente tempo per documentarsi, o forse ritiene più confacente al suo discorso esporre le cose in modo così dozzinale. E dire che non sarebbe difficile da capire.
Per farla semplice, se ciò che è di proprietà di Tizio gli deriva da scambi volontari, nessuno ha diritto di aggredire quella proprietà. Altrimenti, se si ammettesse il diritto di qualcuno (lo Stato) a prendere a Tizio per dare a Caio o Sempronio, si dovrebbe concludere (se si usasse un minimo di logica), che in realtà il diritto di proprietà sarebbe del tutto vuoto, perché sarebbe lo Stato a stabilire quanto lasciare a Tizio di ciò che costui ha ottenuto mediante scambi volontari.
Il problema è che, per Stiglitz, la gran parte dei diritti di proprietà sono stati acquisiti illegittimamente perché risalenti alle colonizzazioni dei secoli scorsi e allo sfruttamento della schiavitù. Il che renderebbe inevitabile la redistribuzione a opera dello Stato per fare “giustizia”. Con buona pace di coloro che non hanno nessuna colpa accertata. Basta la presunzione.
E vengo, per non dilungarmi troppo, al capitalismo progressista, che “prevede un equilibrio migliore tra Stato, mercato e società civile, e una serie di meccanismi come cooperative e istituzioni no-profit… lo Stato dovrà regolamentare, tassare spendere, scrivere norme e regolamenti e contribuire a progettare le istituzioni che governano la nostra società. E siccome lo Stato deve svolgere un ruolo tanto importante, la gestione pubblica ha un peso: il capitalismo progressista può funzionare soltanto in uno Stato democratico… una certa misura di eguaglianza è sia un risultato del capitalismo progressista, sia una condizione necessaria per il suo funzionamento… il capitalismo progressista opererebbe anche più redistribuzione per garantire una maggiore uguaglianza delle condizioni di vita.”
Una volta lo si sarebbe chiamato socialismo, e non credo che basti cambiare nome per cambiare in meglio la sostanza. Nonché i risultati.