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Siena, storia di libertà. Una repubblica senza casta

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di MAURO AURIGI

Una corda che scende dall’alto, tenuta per un capo da una solenne figura femminile rappresentante la Giustizia, passa per la mano di un’altra figura femminile assisa, la Concordia, raggiungendo una lunga doppia fila di cittadini che, in piedi, la tengono nelle loro mani. I cittadini sono rigorosamente raffigurati tutti della stessa altezza a simboleggiare che in una società di eguali nessuno deve essere “più uguale” degli altri. Ad ogni buon conto la Concordiatiene sulle sue ginocchia un’enorme, minacciosa pialla da falegname con la quale provvedere a ricostituire prontamente la condizione di aequalitas se uno o più cittadini avessero osato sollevare la propria testa sopra a quella degli altri.

Siamo nella Sala del Governo (o della Pace) del Palazzo Comunale di Siena dove nelle prime decadi del Trecento la Repubblica, una volta esclusa la nobiltà dalla politica (gli aristocratici non potevano eleggere né essere eletti) volle che uno dei suoi più grandi artisti, Ambrogio Lorenzetti, raffigurasse il ciclo di affreschi a carattere civile più famoso di ogni tempo: un’intera parete dedicata all’Allegoria del Buon Governo e due altre rispettivamente agli Effetti del Buono e del Cattivo Governo. Si tratta di un evidente monito ai governanti che in quella stessa sala tenevano le loro riunioni (all’epoca erano in numero di nove con pari poteri e dovevano necessariamente governare in piena concordia). La morale era chiara: l’armonia tra i cittadini non era (e non è) solo un valore in se stesso, ma era (ed è) la prima ragione della conservazione dello stato di libertà e ricchezza (ma anche di iustitia e aequalitas) che caratterizzava l’antica repubblica senese. Come non riandare ad alcuni contenuti del Patto di Grütli che più o meno in quegli stessi anni veniva stipulato tra i tre Cantoni svizzeri di Uri, Svitto e Untervaldo?

Una grande politica senza politici

Il Comune ci credeva così tanto in quei principi che ostacolava con ogni mezzo il costituirsi delle fazioni (partiti) perché strumento di divisione, spesso violenta, tra i cittadini (per questo aveva estromesso dalla vita politica gli aristocratici, gente bellicosa per natura e sempre pericolosa per la libertas comunale). Allora sapevano assai meglio di noi oggi che ogni partito ha come unico obiettivo la conquista del controllo della res publica. E siccome nessun partito poteva (e può) opporsi alla inesorabile sorte di cadere prima o poi sotto il controllo di pochi o di uno solo, ecco che, con la eventuale vittoria di un partito su tutti gli altri, diventava concreta la minaccia che la città finisse sotto l’imperium di un tiranno: ed allora fine della libertas, della iustitia et aequalitas, e fine anche della ricchezza (e l’affresco a tutta parete dedicato agli Effetti del cattivo governo in realtà descrive le terribili condizioni di una città e della sua campagna sotto la tirannia).

Per scongiurare ciò i Comuni italiani avevano architettato un sistema complicatissimo di accesso alle cariche pubbliche. A Siena si utilizzava soprattutto il sorteggio tra i cittadini e la veloce rotazione negli incarichi senza rinnovo alla scadenza: più alto l’incarico, più breve la durata. Per esempio alla massima carica, quella di governo (sempre collegiale, con pari dignità per tutti i componenti affinché nessuno prevalesse sugli altri) durava solo 2 mesi con i governanti chiusi a chiave in Palazzo Comunale perché erano proibiti loro incontri privati (anche coi familiari, anche con le mogli). E non si poteva essere riammessi al sorteggio prima di 3 o 4 anni. Al Parlamento (da300 a800 componenti in una piccola comunità che contava dalle 25mila alle 50mila anime) invece si restava in carica per un anno, non più di uno per famiglia, anzi tutti i familiari del nominato dovevano abbandonare ogni carica pubblica al momento ricoperta.

A Venezia, dove prevaleva il sistema elettorale, l’elezione del Doge, sempre per scongiurare che qualcuno riuscisse a farsi eleggere grazie alla forza del suo partito, avveniva così: il Gran Consiglio (da1000 a2000 capifamiglia) eleggeva 30 nominativi, ridotti poi per sorteggio a 9; i 9 ne eleggevano 40, ridotti per sorteggio a 12; i 12 ne eleggevano 25, ridotti per sorteggio a 9; i 9 ne eleggevano 45, ridotti per sorteggio a 11; gli 11 ne eleggevano 41 che poi eleggevano il Doge. Ma non era finita, perché questi infine doveva sottoporsi all’approvazione dell’Assemblea Generale del popolo riunita in Piazza San Marco. Sempre a Venezia una legge faceva decadere dalla candidatura chiunque fosse stato sorpreso a farsi campagna elettorale.

Nessuno è riuscito a fare meglio

Tali metodi erano in vigore più a meno in tutte le città-stato del periodo comunale, ma ho appena sfiorata la complessità della pubblica amministrazione di quelle città. Il meccanismo era così complicato, confuso com’era in decine e decine di cariche, uffici e magistrature, che ancora oggi ce ne sfugge la totale comprensione. Ma resta il fatto che la burocrazia era praticamente inesistente, essendo i cittadini stessi che, una volta nominati e in veloce rotazione, ne assolvevano i compiti. Ne discendeva che un numero enorme di cives, se non tutti certamente la maggioranza, nel corso della loro vita avevano avuto almeno un incarico pubblico. Fatto sta che il sistema impedì a ciascuno di loro di diventare tanto importante da tramandare il proprio nome ai posteri, come in Svizzera: sia Alberto da Giussano che Guglielmo Tell, i soli nomi noti in diversi secoli di storia, non sono mai esistiti.

Questo sistema politico-amministrativo è stato duramente criticato ed anche ridicolizzato dai contemporanei di allora e da quelli di attuali (immaginiamoci cosa ne penserebbero un Berlusconi o un D’Alema se oggi quel sistema venisse riproposto). Ma si tratta di grossolana miopia. Resta difficile capire come non ci si renda conto che quel sistema di governo, senza uomini della provvidenza o unti del signore, ha dato all’umanità non solo città come Venezia, Firenze o Siena, ma soprattutto l’Umanesimo e il Rinascimento, ossia la più grande rivoluzione culturale del passato millennio, da cui nacque l’Occidente. Niente di neanche lontanamente paragonabile a ciò è stato prodotto nelle epoche successive e meno che mai da coloro che criticavano o criticano quell’antico sistema di distribuire tutto il potere tra i cittadini. Per maggiore chiarezza va detto che una fioritura culturale, sociale e economica paragonabile a quella dei Comuni italiani si ha solo, 1500 anni prima, nella Grecia classica: non è un caso che l’organizzazione politica delle poleis fosse speculare a quella dei Comuni italiani.

E non è un caso che la nazione che più di ogni altra ha conservato strumenti e modi della politica comunale, la Svizzera, pur collocata nel territorio più povero di risorse dell’intera Europa, abbia  oggi i cittadini più civili e ricchi del mondo.

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