di GILBERTO ONETO
L’intervento dell’uomo sul territorio era inteso dalle civiltà tradizionali come un’opera di adeguamento all’ordine cosmico in contrapposizione al caos informe e da questa intenzione “morale” traeva ispirazione e giustificazione quasi diventando una continuazione dell’atto primordiale della Creazione di cui voleva riprendere i ritmi e i simboli. Che questo principio abbia da sempre governato la fondazione e la costruzione delle città è cosa universalmente nota e accettata. Assai meno palesi risultano essere le stesse intenzioni applicate al paesaggio, spesso invece inteso quasi come elemento di contrapposizione allo spazio ordinato dei centri urbani.
La maggiore notorietà e conoscenza dei riti e dei simboli di fondazione urbana derivano dal fatto che questi siano stati presenti in tutte le civiltà e, in particolare, anche in quella romana cui purtroppo la cultura ufficiale fa da molto tempo esclusivo riferimento. L’atteggiamento romano nei confronti della comprensione e della gestione del territorio era invece improntato alla volontà di conquista e di sottomissione, e alla necessità di modificarne la forma per ragioni di sfruttamento economico e di sottomissione simbolica. Lo strumento abituale con il quale si raggiungevano questi obiettivi era la centuriazione e cioè la sovrapposizione sul paesaggio di un reticolo geometrico di quadrati di circa 700 m di lato che servivano per la equalitaria distribuzione delle terre ai coloni (e quindi per l’insediamento di gente “amica” sulle terre conquistate, dalle quali è stata espulsa la gente “nemica”), per la razionalizzazione della produzione agricola, per il controllo militare del territorio e per la distruzione di tutti gli elementi paesaggistici (i boschi, i luoghi sacri o nemeton, i monumenti megalitici eccetera) su cui si basavano invece gli schemi di sacralizzazione della terra dei popoli vinti. (1) Restavano per evidenti ragioni escluse da questa operazione solo le aree di collina e di montagna dove infatti la penetrazione romana è sempre solo stata molto superficiale e temporanea. (2)
Del tutto diverso era l’atteggiamento delle popolazioni più antiche, soprattutto di quelle di origine celtica, ma risulta che del tutto analogo fosse anche quello delle altre stirpi e, in particolare e per quel che ci concerne, di Garalditani, Liguri, di Reti e di Veneti. Tutti questi non avevano col territorio un rapporto imperialista di conquista (e di sfruttamento) ma uno stretto legame che travalicava i limiti della convenienza economica o del contatto fisico ma che arrivava a una identificazione simbolica e sacrale molto forte. La terra era la tribù, nella terra si trovavano le origini ancestrali della comunità, la terra ospitava tutti gli elementi di sacralità di cui la tribù faceva parte. La terra era la “Madre Terra” dispensatrice feconda di ogni pulsazione di vita e di ogni ricchezza: ogni elemento e parte della natura era custode di una entità sacra o costituiva una porzione di divinità che andava rispettata. (3) Il paesaggio era cioè contenitore di sacralità ma anche, esso stesso, elemento e soggetto di sacralità. Ogni intervento sul paesaggio doveva tenere conto di queste valenze e diventare parte del sacro, continuazione del sacro e vi si doveva inserire solo nella misurata veste di contributo antropico all’armonia generale.
Si trattava di un atteggiamento che era comune (sia pur con diverse sfumature di comportamento) a tutte le civiltà tradizionali e che si è in qualche modo conservato in occidente sotto la coltre di cristianizzazione e in veste di cultura popolare, di memoria folklorica. Molto di questo complesso patrimonio spirituale e culturale stà negli ultimi tempi riaffiorando. Parecchio si comincia a sapere, ad esempio, sulla scienza cinese del Feng-Shui che regolava ogni azione umana di trasformazione o di utilizzo del paesaggio sulla base di precisi rapporti di geomanzia. (4) Qualcosa di analogo comincia qua e là a venire fuori anche fra le pieghe dei paesaggi occidentali sui quali – occorre ricordarlo – molto è successo in termini di interventi e di modificazioni anche profonde da che le ultime civiltà tradizionali hanno avuto modo di lasciarvi incisi i loro segni. (quasi si trattasse di lavagne sulle quali nel frattempo abbiano continuato a stratificarsi interventi e cancellazioni di portata crescente). Come se non bastasse, i nostri paesaggi hanno dovuto subire la sistematica opera di cancellazione di ogni antico segno di sacralizzazione da parte dei Romani (che vi leggevano un pericoloso segno di diversità, di autonomia e di identità contrario al loro obiettivo di sistematica omologazione) e della Chiesa che vi vedeva segni di superstizione da estirpare o la demoniaca sopravvivenza di antichi culti naturalistici pagani.
Perciò solo di rado e a fatica riaffiorano brandelli di strutture organizzative del territorio basate su schemi sacrali, simbolici o astrali la cui identificazione è, oltre a tutto, ulteriormente complicata dal non saper bene cosa cercare. Solo da pochi anni si sono ricostruite alcune delle chiavi di lettura che hanno permesso di fare riaffiorare segni che sono spesso ancora troppo labili e imprecisi per potere vantare certezze. In queste condizioni è inevitabile che a situazioni vere, verosimili o a tracce sicure si mescolino supposizioni, errori o addirittura invenzioni a intorbidire una situazione già difficile.
In base alle attuali conoscenze, gli elementi portanti su cui erano costruiti gli schemi di sacralizzazione a livello territoriale delle antiche civiltà europee (o, più semplicemente, quelli che riusciamo ancora a cogliere) possono essere raccolti in due tipi: gli orientamenti astrali e gli allineamenti (in inglese leys) o “geogeometrie”.
La storia della scoperta di questi segni e della loro ricomparsa nell’immaginario collettivo è affascinante come i segni medesimi. Il primo a cercare di dare coerenza scientifica a un insieme di percezioni è stato l’inglese Alfred Watkins che si è dedicato alla ricerca dei leys dell’Inghilterra meridionale: in anni di ricerche e di sopralluoghi ha scoperto e dimostrato che centinaia di monumenti megalitici marcanti luoghi sacri (menhir, cromlech eccetera) sono stati posizionati su delle linee lunghe decine e decine di chilometri che comprendono anche talune emergenze morfologiche (collinette, picchi eccetera) e che si intersecano su elementi particolarmente rilevanti – Stonehenge è uno di questi – con una precisione e una ricorrenza che rende del tutto improbabile la loro casualità. (5)
L’identificazione di tale reticolo è stata facilitata dalla particolare configurazione morfologica della regione, dal buono stato di conservazione di quasi tutti i monumenti e dalla permanenza dei luoghi “sacri” nei quali assai spesso la chiesa o la croce stazionale hanno preso il posto e continuato le funzioni del preesistente elemento sacrale pagano. Hanno contribuito anche una migliore conservazione del paesaggio (che ha subìto meno di altri il rullo compressore di chi voleva deliberatamente cancellare ogni segno di sacralità), la disponibilità di una efficiente base cartografica e la presenza volonterosa di decine di ricercatori la cui preparazione culturale (e la cui mentalità) non è condizionata dal rigorismo classicista, positivista e romanocentrico, e che quindi possiedono ancora la freschezza e l’apertura mentale (l’inglese ingenuity) che permette di vedere cose che ad altri erano precluse da preconcetti e da incrostazioni di tabù. (6)
L’intero impianto ha una organizzazione complessiva nella quale allineamenti e orientamenti astrali si trovano in stretta correlazione e sono spesso indistinguibili. Infatti non solo edifici e complessi monumentali ma anche interi reticoli di allineamenti sono stati orientati in funzione solare (equinozi o solstizi) o su significativi posizionamenti di altri corpi celesti. Fin da tempi antichissimi (III e IV millennio a.C.) le popolazioni locali hanno costruito architetture sacre organizzate su precisi riferimenti astrologici, con funzione di punti di osservazione e di misurazione, o di grande calendario. I più noti di questi monumenti sono i complessi inglesi di Stonehenge e di Avebury, e quelli irlandesi di Newgrange e della valle del Boyne. (7)
Trame di allineamenti del tutto simili per concezione ed estensione sono state ritrovate da Teudt in Germania nella regione attorno alla selva di Teutoburgo e da Thom in Bretagna, in un reticolo imperniato attorno al complesso megalitico di Carnac. (8) Uno schema di sacralizzazione analogo per significati e simbolismi ma diverso per concezione fisica è stato scoperto e studiato da Katherine Maltwood a Glastonbury, nell’Inghilterra meridionale: qui il paesaggio sarebbe stato organizzato sulla sovrimpressione dei dodici segni zodiacali, disegnati a scala geografica da strade, corsi d’acqua e confini di appezzamenti. (9)
La Padania appartiene allo stesso ampio mondo culturale delle zone di cui si è fatto cenno ed è perciò “normale” che i suoi antichi abitanti abbiano seguito analoghe linee di condotta nel processo di sacralizzazione di questo territorio. Certo, qui la somma dei segni lasciati sul paesaggio dalle moltissime civiltà che si sono succedute ha cancellato gran parte delle tracce di allineamenti del genere: quello che resta comincia però a riaffiorare qua e là grazie anche all’impegno di una nuova generazione di ricercatori non più legati agli intorpiditi schemi della “normale” storiografia del paesaggio.
In particolare, sono moltissimi gli esempi di strutture architettoniche antiche di cui si scoprono evidenti orientamenti astrali. I casi più noti riguardano i cerchi di pietre della Val Belluna (nella necropoli paleoveneta di Mel, databile dall’VIII al IV secolo a.C.) che sono orientati sulla levata del sole nei giorni di Imbolc e di Samain, i castellieri sudtirolesi di Colle Joben e di San Pietro in Fiè (allineati al solstizio invernale), l’area megalitica aostana di Saint Martin de Corleans (sito della leggendaria Cordelia dei Salassi) orientata sulla levata del sole a Beltane e a Lammas (15 agosto), e numerosi altri castellieri e monumenti tombali nel trevigiano (Montebelluna, Giavera, Volpago e Colbertaldo). (10)
I pochi villaggi fortificati (“motte”) superstiti dei molti un tempo presenti nel territorio di Castelfranco Veneto (Castello di Gòdego, Vallà) sono orientati sull’allineamento astronomico legato al solstizio d’inverno. (11)
Carlo Frison ha scoperto e studiato i puntuali orientamenti astrali di Padova e Treviso e la precisa costruzione geometrica attorno ad essi creata nel tracciamento dei loro nuclei più antichi. (12) Qui l’impianto comincia ad assumere dimensione territoriale con connotazioni che somigliano a quelle dei leys inglesi. Ha sicuramente un interesse a dimensione più ampia la costruzione paesaggistica di epoca romana del territorio compreso fra Verona e Vicenza e imperniata radialmente sulla Cima Marana e che è stata studiata da Giulio Pizzati. (13) Ancora in Veneto, un affascinante reticolo geometrico (esteso su 168 chilometri per 141) che collega molte città (fra cui Verona, Este, Vicenza, Venezia, Treviso, Oderzo, Padova e Adria) è stato ipotizzato da Giuseppe Segato nella sua Carta Culturale. (14)
Un fitto sistema di allineamenti di elementi naturali e architettonici (del tutto simile per concezione a quelli inglesi) è stato descritto da Petitti per l’area della Valle d’Aosta e del Piemonte settentrionale. (15) Di recente è stata ipotizzata una precisa costruzione geometrica anche per la collocazione del nucleo antico di Milano, basata su un rapporto di traguardazione con il Monte Rosa e il Resegone. (16) E’ interessante notare come tutti i casi finora scoperti di orientamenti e di allineamenti padani riguardino aree alpine (dove la romanizzazione è stata più superficiale) o il Veneto, che per lo svolgersi degli eventi storici antichi non è stato colonizzato con la stessa durezza che è toccata al resto della Padania. La cancellazione degli schemi e degli elementi di sacralizzazione territoriale è stata perciò sistematica solo nelle aree di pianura: il posizionamento di Milano è un residuo dovuto alla persistenza della collocazione dell’abitato.
La sistematica opera di cancellazione non ha però neppure significato la distruzione dell’idea stessa di sacralizzazione territoriale che è stata conservata all’interno della cultura occidentale e in qualche modo ripresa dalla Chiesa medievale che era – giova sempre ricordarlo – profondamente impregnata di cultura celtica. Solo in quest’ottica possono essere spiegate le geometrie territoriali formate – ad esempio – dalle cattedrali francesi dedicate a “Nôtre Dame” (come ipotizzato da Charpentier) (17), o dagli insediamenti templari attorno a Pavia che sarebbero perfettamente organizzati su di uno schema stellare a cinque punte centrato su Lardirago. (18)
Analoghe costruzioni ambientali possono essere ritrovate sia pur in dimensioni più contenute: Enrico Guidoni ha – ad esempio – riscontrato una interessante analogia fra la disposizione degli elementi architettonici della Piazza dei Miracoli di Pisa e la costellazione dell’Ariete che andrebbe al di là di una normale casualità. (19) Ancora, studiando la topografia del Sacro Monte di San Vivaldo in Valdelsa, Franco Cardini ne ha evidenziato l’intenzione di riprodurre esattamente la disposizione dei luoghi originari di Gerusalemme attraverso un complesso intervento sul paesaggio. (20)
Sempre a proposito di Sacri Monti – che per loro origine e caratteristiche sono il fenomeno recente che più facilmente è assimilabile a certi elementi simbolici antichi – in uno studio su quelli costruiti dai Borromeo, è stato ipotizzata una loro collocazione sul territorio secondo una precisa sequela di allineamenti incentrati sul San Carlone che era il punto di arrivo del Sacro Monte di Arona dedicato al Santo nel suo luogo natale. Il colosso bronzeo sarebbe così il centro attorno a cui ruota tutta una complessa operazione di organizzazione e geometrizzazione sacrale del paesaggio della zona del Lago Maggiore e di cui – occorre dirlo – non vi è altra prova che la precisione dell’allineamento stesso. (21)
Non può certo essere un caso che questi allineamenti medievali sono da attribuire a cistercensi e a templari hanno sempre rappresentato forti nicchie di conservazione di culture e di simbolismi precristiani, e che quelli di epoca controriformistica abbiano avuto per ispiratore San Carlo Borromeo che aveva una profonda conoscenza delle culture tradizionali e un forte interesse nel significato morale e politico dell’opera di sacralizzazione del paesaggio.
Altre forme di geometrizzazione minore imperniate su qualche caposaldo architettonico sono riscontrabili con una certa frequenza un po’ ovunque soprattutto nell’area prealpina: strade allineate su campanili o edifici religiosi messi in fila potrebbero essere il rudere di qualche antica e ben più imponente opera di organizzazione paesaggistica effettuata su forme geometriche sacrali o astrali di cui si perduta la memoria e della cui esistenza non si ha certezza alcuna.
Oggi che l’antico senso identitario dei nostri popoli stà finalmente risorgendo ricompaiono sintomaticamente anche questi segni che costituiscono una antica testimonianza, un forte legame con le nostre lontane radici e un robusto segno della identificazione fra popolo e terra. Questi segni che sembravano cancellati vengono anche a dimostrare che non sono bastate oppressioni di ogni genere ad annientare l’antico legame di questi popoli con la loro cultura e con la terra. Non è un caso che le tracce di sacralizzazione del territorio ricompaiano con il rinvigorirsi della mai sopita voglia di libertà e di identità delle nostre genti. (22) Col rinsaldarsi della eterna unione fra terra e popolo si rafforzano le nostre libertà.
*TRATTO DA “i Quaderni Padani”
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