Zingales è quel professore che insieme a Boldrin e Giannino aveva fondato “Fare per fermare il declino”. In un articolo sul “Sole 24 Ore” ha scritto: “L’eurozona è un’unione monetaria, non fiscale e non permetteranno mai che lo diventi attraverso manovre surrettizie. Anche qui i tedeschi hanno ragione. Le decisioni fiscali sono di competenza dell’autorità fiscale in cui i cittadini sono rappresentati, non di un’autorità monetaria, per lo più un’autorità monetaria disegnata per essere totalmente indipendente dal potere politico. Dove non sono d’accordo con i tedeschi è sulla soluzione. La loro strategia è quella di trascinare il problema il più a lungo possibile, perché questa situazione di stallo beneficia il loro Paese. Per l’Italia e tutto il sud d’Europa questo stallo è devastante. O si procede rapidamente verso un’unione fiscale, o è meglio riconoscere che l’unione monetaria da sola non funziona e procedere a un divorzio consensuale, cercando di minimizzarne gli inevitabili danni collaterali. Rimandare il problema non aiuta a risolverlo e ci costa in termini di disoccupazione e desertificazione industriale. È questo il dibattito politico che vorremmo veder oggi in Europa”.
Da anni è in atto una discussione sui problemi dell’Unione monetaria europea. Le posizioni prevalenti possono essere così semplificate: da un lato, ci sono coloro che vorrebbero riportare la “sovranità” monetaria in capo ai singoli Stati, ponendo quindi fine all’UME. Costoro ritengono che la manipolazione della moneta sia uno strumento necessario per la competitività, quindi ogni Stato dovrebbe poterne disporre. E pazienza se qualcuno ne abusa, dando luogo a fenomeni più o meno consistenti di perdite di potere d’acquisto della moneta stessa, che come unico effetto ha quello di redistribuire la ricchezza.
Dall’altro lato ci sono coloro che ritengono che una unione monetaria non possa funzionare se non viene completata da una unione fiscale. Questo sarebbe il problema da risolvere per l’Area euro. Considerando che una politica monetaria unica per diversi sistemi economici può rivelarsi allo stesso tempo espansiva per alcuni e restrittiva (o meno espansiva) per altri, l’unione fiscale consentirebbe di compensare gli effetti asimmetrici della politica monetaria mediante trasferimenti tra Paesi aderenti all’unione monetaria.
Luigi Zingales ritiene che il governo italiano, in occasione del semestre di presidenza dell’Unione europea, dovrebbe porre al centro della propria azione politica il tema dell’unione fiscale, per completare un processo che, allo stato attuale, è incompleto e malfunzionante. Altrimenti sarebbe meglio procedere consensualmente a una dissoluzione dell’Unione monetaria. Non sorprende che la Germania propenda in questa fase storica per mantenere una Unione monetaria dalla quale, effettivamente, finora è stata la principale beneficiaria, anche perché gli altri Paesi, soprattutto nell’Europa meridionale, hanno sprecato quasi dieci anni di bassi tassi di interesse per far correre il debito (pubblico e/o privato, a seconda dei casi), trovandosi poi in braghe di tela in occasione della crisi. Né sorprende che stiano temporeggiando sull’unione fiscale, perché con ogni probabilità si troverebbero a dover sussidiare diversi Paesi dell’unione. A tale proposito l’Italia, da oltre un secolo e mezzo, rappresenta un ottimo esempio di come funziona (o malfunziona) una unione fiscale e monetaria tra aree aventi caratteristiche economiche e sociali disomogenee.
Entrambe le posizioni che ho esposto, seppur ricorrendo per motivi di spazio a una buone dose di semplificazione, partono da un presupposto del quale neppure sentono l’esigenza di fornire un supporto teorico: ossia che le politiche fiscali e monetarie siano necessarie per il funzionamento del sistema economico. Si tratta di un approccio che è socialista nella sostanza, anche quando ad occuparsene sono persone che socialiste non sono, o quanto meno che non si riconoscerebbero nella definizione di socialisti.
La moneta, in quanto mezzo di scambio, si sviluppa storicamente come ordine spontaneo. E’ indubbiamente vero che lo Stato capisce ben presto che monopolizzare la moneta è fondamentale per controllare il sistema economico, ma ciò non significa che la moneta sia un’invenzione dello Stato, né che non possano esserci monete senza Stato.
Questa terza posizione, oggi ampiamente (ahimè) minoritaria, credo meriterebbe di essere più conosciuta, non fosse altro per il fatto che la gestione monopolistica da parte di Stati e banche centrali ha dimostrato di portare a crisi più o meno ricorrenti e di rappresentare, in ultima analisi, nulla più di uno strumento di redistribuzione, tra l’altro ben più efficace, perché subdolo, di quello fiscale.
Questo può senz’altro essere un pregio per i socialisti, ma chi socialista non lo è, o ritiene di non esserlo, penso farebbe bene a non limitarsi a pensare che l’unica alternativa sia tra monete statali nazionali o monete sovranazionali gestite da superstati.
Parole sante