di JACQUES ELLUL
Oggigiorno, il problema più grande consiste nel fatto che il cittadino si ritrova, suo malgrado, nelle grinfie del potere politico. Pensare tutta l’esistenza secondo le logiche e la metrica della politica, celare lo scorrere e il fluire della realtà usando questa parola come schermo (con gli intellettuali che prendono lo spunto da Platone e da parecchi altri filosofi), mettere tutto nelle mani dello stato e ricorrere a esso in ogni circostanza, subordinare i problemi dell’individuo a quelli del gruppo, credere che gli affari politici riguardino in realtà tutti e tutti siano qualificati per averci a che fare; insomma, tutti questi fattori caratterizzano la politicizzazione dell’uomo moderno e, come tali, racchiudono un mito. Questo poi si rivela nelle credenze e, di conseguenza, suscita facilmente un fervore quasi religioso.
Noi non riusciamo più a concepire la società, se non come un corpo diretto da uno stato centrale onnipresente ed onnipotente. Ciò che prima si configurava come una visione utopistica della società, con lo stato ad assolvere il ruolo del cervello, non solo oggi viene ideologicamente accolto ed approvato, ma è altresì fortemente introiettato nelle pieghe più profonde della nostra coscienza. Agire in modo contrario ci porrebbe in radicale conflitto con l’immaginario collettivo, pressoché universalmente accettato: una punizione che forse non possiamo accettare di buon grado. Non possiamo più nemmeno concepire una società in cui la funzione politica (da parte dell’autorità statale) possa essere limitata da strumenti esterni: siamo arrivati all’idea monistica del potere che arresta il potere.
Così come non possiamo più concepire una società caratterizzata dall’autonomia dei gruppi o tra i gruppi, o ancora caratterizzata dal moltiplicarsi di attività divergenti. La supremazia della politica è uno dei presupposti sociologici universali, condiviso da tutti e in costante espansione in tutti i paesi.
Diamo per scontato che tutto debba essere sottoposto senza riserve al potere dello stato; ci sembrerebbe persino incredibile se qualche attività riuscisse a sfuggire al suo controllo. L’espansione dell’ingerenza omnipervasiva e totalizzante dello stato, in tutti gli affari della nostra vita, va esattamente di pari passo con la nostra convinzione che le cose debbano essere per forza così. Non sarà mai ripetuto a sufficienza: la criticità non sta tanto nel fatto che lo stato sia al centro della nostra vita, quanto soprattutto nella nostra accettazione spontanea e personale di tale condizione. Siamo convinti che, se il mondo deve andare per il verso giusto, lo stato debba disporre di tutti i poteri necessari.
La convinzione che i conflitti interiori dell’individuo, così come la realizzazione fattuale dei valori, costituiscano un affare collettivo e sociale e possano pertanto trovare soluzione soltanto nell’ambito politico, si pone solamente come l’aspetto mistificante della resa personale di ogni individuo rispetto alla dignità della propria vita. Poiché io non sono capace di agire per il meglio e di conseguire dei risultati apprezzabili nel corso della mia vita, insisto sul fatto che spetti allo stato farlo al mio posto, per procura. Poiché sono incapace di discernere la verità, chiedo che lo facciano i governanti, per mio conto; così mi libero di un compito oneroso e posso ottenere la mia verità, già bella preconfezionata. Poiché non posso amministrare la giustizia in maniera autonoma, mi aspetto che esista una giusta organizzazione, cui sia sufficiente ricorrere per salvaguardare la giustizia.
Ma, si potrebbe obiettare, è o non è il cittadino politicamente interessato il primo a desiderare la limitazione del potere, anziché dover assistere alla promozione della sua crescita continua? Questa è una grande illusione.
Quanto più un individuo si dimostra politicizzato, tanto più si ritroverà a percepire e ad affrontare tutti i problemi configurandoli come problemi politici; e tanto maggiore sarà l’importanza che egli attribuirà all’azione politica, concepita come l’unica via possibile che, in quanto tale, deve essere dotata dei necessari poteri e della massima efficacia. Allo stesso tempo, quanto più politicizzato è quell’individuo, tanto più sarà orientato e attratto da quella forza e da quella forma politica basilare: lo stato. E quanto più farà ricorso allo stato, tanto più, questo, estenderà il suo potere.
Passo dopo passo, la potenza dello stato aumenta. Le persone sotto l’incantesimo della politica sono sempre meno indotte a vigilare lo stato; politicizzando ogni cosa, essi considerano del tutto normale che lo stato debba continuare a espandere , in maniera costante, la sua area di intrapresa, utilizzando altresì strumenti di potere sempre più sofisticati. Tutto questo diventa legittimo ai loro occhi, in quanto ritengono che tutto si risolverà attraverso l’azione politica.
TRATTO DA da “L’illusion politique”, 1965