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Strategie per autonomisti: presentarsi alle elezioni senza firme

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liste firmedi GABRIELE MAESTRI

Quando si avvicinano le elezioni politiche, magari a data non ancora fissata, l’impegno maggiore per i partiti presenti in Parlamento è profuso per evitare la raccolta delle firme, operazione sempre più difficile in tempi di disaffezione e antipolitica. Anche in passato però non era una passeggiata, soprattutto per le forze politiche meno strutturate. Come avrebbero potuto sottoporre le loro idee al voto dei cittadini, pur non avendo la forza e le energie per raccogliere le firme?
Un modo doveva esserci e, in effetti, fu elaborato tra il 1979 e il 1980: inserire nell’emblema da stampare sulla scheda il simbolo di un partito che, per legge, sia già esentato dalla raccolta firme. Lo stratagemma viene usato tuttora: di solito basta riprodurre l’elemento caratterizzante del segno, se c’è, oppure lo si inserisce tutto intero ma in miniatura, per questo si parla di “pulce”. Il sistema, semplice ma ingegnoso, fu trovato nell’ambito dell’autonomismo e il vero artefice dell’operazione ha un nome e un cognome: Roberto Gremmo.
La soluzione non fu immediata, ma richiese alcuni passaggi. Tutto iniziò in vista delle prime elezioni dirette del Parlamento europeo, datate 1979. Allora, probabilmente, il partito autonomista più noto era l’Union Valdôtaine: a guidare la presentazione della lista fu Bruno Salvadori, già consigliere regionale. Nei mesi precedenti – lo racconta Gremmo in Contro Roma, libro pubblicato nel 1992 contenente “storie, idee e programmi delle Leghe autonomiste del Nord” – Salvadori aveva tentato di far assegnare alla Valle d’Aosta un seggio europeo dedicato, come avviene tuttora per Camera e Senato; non riuscendoci, tentò una strada diversa. “Impossibilitata a conquistare il seggio a Strasburgo in virtù di una concessione concordata, l’Union pensò di concorrervi presentando una sua lista elettorale in tutta Italia, chiamando a raccolta tutti coloro che, già allora, in qualche modo si richiamavano all’autonomia, al federalismo, alle minoranze”.
Fu questo, per Gremmo – che fu chiamato a essere parte della coalizione a nome del gruppo Rinascita piemontese – l’episodio alla base della nascita delle Leghe, che negli anni successivi avrebbero mosso i primi passi. Grande assente in quell’operazione fu laSüdtiroler Volkspartei, che – in quanto espressione di minoranza linguistica – sfruttò la possibilità di collegarsi a un partito presente in tutte le circoscrizioni (la Dc, in quel caso), cosa che avrebbe assicurato un seggio al proprio candidato più votato, purché avesse avuto almeno 50mila preferenze.
A prescindere dalla questione Svp, restava un problema legato al simbolo. Quello dell’Uv, grazie ai parlamentari eletti, avrebbe consentito di evitare la raccolta firme e permise comunque una corsa autonoma da ogni altro partito (lo stesso Gremmo, al primo congresso “nazionale” dell’Union, non aveva forse detto “meglio un voto al leone valdostano che cento voti da pecora ai partiti di Roma”?); nonostante questo, il leone rampante su fondo bicolore era inutilizzabile oltre Carema, il comune del torinese che confina con la Valle d’Aosta. Sarebbero state necessarie delle modifiche, ma quali? E, soprattutto, in un periodo in cui mettere mano ai simboli era un’operazione vista con sospetto, sarebbe stato legittimo?

Per saperlo, l’Union interpellò il Ministero dell’interno tramite il proprio senatore Pietro Fosson, ponendo un quesito preciso: era possibile aggiungere al simbolo di un partito già definito altre scritte, senza che questo facesse perdere il beneficio dell’esenzione dalla raccolta firme? La risposta del Viminale fu positiva: era sufficiente che il contrassegno contenesse il simbolo del partito esente che si voleva presentare, non importavano nemmeno le sue dimensioni. Visto che si era pensato di agire sugli elementi testuali, in quell’occasione ci si accontentò di ritoccare appena un po’ l’emblema, aggiungendo nel cerchio attorno allo scudo le parole “Europa”, “Federalismo” e “autonomie”. I riferimenti valdostani erano ancora forti, ma il “marchio” parve più spendibile e le liste furono presentate in tutte le circoscrizioni; con il suo 0,47%, tuttavia, l’Union Valdôtaine “allargata” non riuscì a eleggere alcun parlamentare europeo.

L’obiettivo, dunque, non fu raggiunto, ma l’indicazione simbolica data dal Ministero era molto interessante e la si sarebbe potuta sfruttare in altre occasioni. Nel 1980, in particolare, si votava per rinnovare molte amministrazioni locali e i consigli regionali, compreso quello del Piemonte. Roberto Gremmo era stato uno dei tre candidati piemontesi dell’Uv alle europee dell’anno prima (l’unico biellese, per l’esattezza), aveva ottenuto un certo numero di preferenze e aveva ricevuto il plauso dei vertici del partito autonomista, che gli chiedevano di restare in collegamento con loro: i margini per presentare una lista autonomista anche in Piemonte c’erano. L’impresa non era certo facile: già nel 1968 la Südtiroler Volkspartei aveva tentato di presentare una lista autonomista su tutto il territorio nazionale – lo stesso Gremmo raccontò il tentativo in un suo articolo nel periodico Storia ribelle, n. 25, dal titolo Il ‘Sessantotto’ autonomista – ma le firme necessarie furono raccolte, fuori dall’Alto Adige, solo a Trieste e a Bergamo, affrontando l’atteggiamento apertamente ostile da parte del Msi (a Bergamo addirittura Mirko Tremaglia sporse denuncia per firme false); anche in Piemonte andò male.
Ora, il decreto-legge n. 161/1976 (convertito dalla legge n. 240/1976) stabiliva che, per le elezioni regionali, provinciali e comunali, non dovevano raccogliere le firme le liste che fruivano di “contrassegni tradizionalmente usati da partiti o gruppi politici che abbiano avuto eletto un proprio rappresentante in Parlamento o siano costituiti in gruppo parlamentare nella legislatura in corso alla data di indizione dei relativi comizi”. Anche qui, dunque, sarebbe bastato utilizzare un emblema rappresentato in Parlamento dall’inizio (o da un gruppo parlamentare sorto in corso d’opera) per riuscire a presentare le liste.
Si sarebbe potuta fare la stessa operazione del 1979, ma Roberto Gremmo avrebbe voluto dare più risalto a nuovi simboli, creati appositamente per quell’appuntamento elettorale. Si rivolse a un funzionario della prefettura di Genova, chiedendo se l’esenzione dalla raccolta firme sarebbe stata mantenuta anche anche rimpicciolendo le dimensioni del simbolo esente, così come aveva detto il Viminale l’anno prima: il funzionario confermò e Gremmo si mise in moto. Si rivolse nuovamente a Bruno Salvadori per ottenere il simbolo dell’Union da utilizzare alle comunali di Torino: la “pulce” dell’Uv si strinse molto, trovando posto sulla sagoma bianca della Mole.

Alle regionali invece l’appoggio arrivò dalla lista Per Trieste, nota anche come “lista del melone” (per il melone con alabarda, simbolo della città di Trieste), che nel 1979 aveva ottenuto un deputato: l’apparentamento tecnico arrivò grazie alla “garanzia” di Pietro Bucalossi, già ministro e sindaco di Milano, con cui Gremmo era entrato in contatto e aveva delineato l’idea dell’alleanza con la lista autonomista. “L’adesione di Bucalossi – scriveva sempre Gremmo in Contro Roma – fu giudicata dai triestini garanzia sufficiente per un accordo e così anche la mia lista torinese potè presentarsi sotto l’egida del famoso ‘melone’ antipartiti”. Tutti Su consiglio di Gremmo, tutte le liste parte dell’accordo utilizzarono il sistema della “pulce”: ovviamente ogni simbolo conosceva varianti (il Duomo milanese stilizzato per la Lombardia, il profilo di Dante per l’Emilia Romagna e il quadrato crociato con lambello per il Piemonte), ma in tutti i casi il nome della lista era Associazione per Trieste.
Anche in quel caso non arrivarono eletti e, tra l’altro, con la morte tragica di Salvadori in un incidente di auto proprio nei giorni delle elezioni, si chiuse il tentativo di “esportare” l’autonomismo da parte dell’Union Valdôtaine. Gli autonomisti del Piemonte e delle altre regioni avrebbero dovuto trovare altre strade, ma questa è una storia più lunga, da raccontare a parte; intanto lo strumento della “pulce salvafirme” era stato inventato e sarebbe durato a lungo…

Si ringrazia di cuore Roberto Gremmo per il materiale gentilmente fornito.

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