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Super stati significa anche super problemi

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EUSSR-europa statodi MATTEO CORSINI

“L’Europa sembra aver deciso, dopo anni di stagnazione, di far entrare l’economia in deflazione. E lo fa perché non è davvero democratica. In una democrazia, infatti, quando le cose vanno male c’è modo di cambiare: si sostituisce il governo e muta, di conseguenza, la politica. Nella Ue, invece, si può cambiare il governo ma non la politica, che è predeterminata dai trattati che hanno tolto ogni potere agli esecutivi nazionali. I quali non possono avere una politica valutaria e industriale… Il vizio capitale della Ue è che il debito è sovrano ma la moneta non ha sovranità: gli Stati si indebitano con una divisa su cui non hanno controllo. Si è fatta una moneta unica per rendere impossibile la speculazione. Ora ci vorrebbe un unico titolo di debito pubblico. E occorre dare alla Bce le prerogative che hanno tutte le altre banche nazionali: stampare moneta per finanziare gli Stati. Questo, però, significa che dobbiamo avere, nella Ue, una situazione federale. Abbiamo concepito, infatti, un Paese con Stati federati ma non c’è uno Stato federale. Siamo andati molto avanti con l’Europa. Ora, o si fa un ulteriore passo in avanti oppure si rischia di farne uno indietro”.

Non si direbbe che in Italia vi sia carenza di economisti statalisti e interventisti (con sfumature che vanno del keynesismo al marxismo), eppure pare evidente che la dotazione nazionale non sia ritenuta sufficiente, dato che da diversi anni la classe dirigente del Belpaese riserva danarosi scranni in consigli di amministrazione e ascolta ammirata l’opinione (tra gli altri) dell’economista francese Jean-Paul Fitoussi, autore delle parole di cui sopra.

Il quale, come spesso accade per ciò che viene dalla Francia, non dice nulla di originale e, se possibile, è perfino più statalista dell’economista medio italiano. Questa peraltro è una costante nei confronti tra Italia e Francia, la quale, ahimé, è spesso considerata un punto di riferimento da imitare, trascurando il fatto che il deterioramento della sua situazione economica e delle sue finanze pubbliche viaggia a ritmi molto più spediti che in Italia, e che appare ancora messa meglio solo perché l’Italia era messa peggio all’inizio della crisi.

Cosa dice, dunque, Fitoussi, invitato all’ennesimo convegno sul nulla? Dice che l’Europa ha deciso di andare in deflazione, perché “non è davvero una democrazia”. L’abuso del ricorso al termine “democrazia” è una costante quando poi si invocano spesa pubblica e stampa di denaro. Ma andrebbe chiesto a Fitoussi se i Trattati che regolano l’Unione europea sono stati sottoscritti da governi democraticamente eletti oppure se sono stati imposti da un esercito alieno venuto dallo spazio.

Il punto di arrivo, tanto per cambiare, è noto: “il vizio capitale della Ue è che il debito è sovrano ma la moneta non ha sovranità: gli Stati si indebitano con una divisa su cui non hanno controllo”. E allora avanti verso uno Stato federale (gli Stati Uniti d’Europa di cui tanti si riempiono la bocca) e una banca centrale che crea denaro a volontà per finanziare il debito pubblico.

Ovviamente lo Stato federale si suppone dovrebbe disporre di un proprio bilancio da utilizzare per redistribuire risorse. Il problema pratico è che la resistenza a ridurre una spesa pubblica insostenibile che c’è oggi ben difficilmente verrebbe meno domani. Il sogno inconfessato dei fautori degli Stati Uniti d’Europa è quello di spostare il problema da un debito pubblico nazionale a uno europeo del quale non indicano chi dovrebbe farsi carico.

Dato, però, che per quanto la banca centrale stampi denaro, gli oneri del debito prima o poi (in una forma o in un’altra) sono sostenuti da qualcuno, quel qualcuno non è sufficientemente ingenuo da offrirsi volontario per farsi carico delle spese pubbliche che altri non vogliono ridimensionare.

La stessa esperienza italiana dovrebbe essere di insegnamento: oltre un secolo e mezzo di unione forzata (che tra l’altro inizialmente danneggiò significativamente il meridione) ha generato una redistribuzione a senso unico che frustra le regioni che pagano il conto e genera dipendenza da assistenzialismo in quelle che ricevono trasferimenti.

Senza entrare nel merito se ciò sia desiderabile, lo Stato federale europeo non potrebbe funzionare se, come credo siano convinti i suoi fautori, si trattasse semplicemente di creare una sovrastruttura che non metta freno a sistemi di spesa pubblica che sono del tutto incompatibili con la realtà demografica attuale e prospettica (oltre, ovviamente, che con il rispetto della proprietà privata).

Si imboccherebbe semplicemente una strada che, forse, consentirebbe di rimandare per qualche altro anno la resa dei conti. E’ già accaduto con la moneta unica: i Paesi spendaccioni hanno beneficiato per circa un decennio di tassi di interesse tra la metà e un terzo di quelli che avevano in precedenza, e invece di contenere la spesa l’hanno aumentata, dato che il costo del debito era diminuito. Salvo poi gridare alla speculazione quando le condizioni internazionali sono peggiorate e invocare la stampa di moneta, quella stessa soluzione che nei decenni precedenti li aveva fatti vivere di debito e inflazione.

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