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Tasse e stato, ci mancava solo la lezione di vincenzo visco

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Bersani Viscodi MATTEO CORSINI

“Quando nel 1996 divenni ministro delle Finanze, il ministero era una enorme macchina vetusta, semiparalizzata, incapace di svolgere la propria funzione con un minimo di efficienza. Mi limito ad un esempio: dopo poche settimane dall’insediamento venni informato che alcune manifatture dei Tabacchi (che erano, o dovevano essere, imprese) funzionavano a ritmi ridotti per la mancanza di elettricisti. Chiesi allora perché non si affrettassero ad assumerli, e mi fu risposto che la cosa non era tanto semplice: bisognava infatti indire un pubblico concorso per titoli ed esami, pubblicare il bando sulla gazzetta ufficiale, aspettare la presentazione delle domande, nominare le commissioni di concorso, ecc. Era necessario almeno un anno, e nel frattempo la produzione di sigarette poteva attendere. Queste procedure, tutte coerenti col diritto amministrativo e con l’idea che la PA fosse una unica organizzazione unitaria da gestire con le stesse norme, valevano per l’intero ministero e lo paralizzavano”. Commentando l’attuale limbo nel quale si trovano diversi dirigenti dell’Agenzia delle entrate a seguito di una sentenza della Corte Costituzionale che ne ha determinato la decadenza in quanto non assunti mediante concorso pubblico, Vincenzo Visco racconta un aneddoto di quando divenne ministro delle Finanze nel primo governo Prodi.

Nel corso della sua esperienza governativa, Visco è stato capace di inventare l’Irap, di introdurre l’imposta sul capital gain e la tassazione sui redditi maturati e non realizzati (tuttora vigente nel cosiddetto regime del risparmio gestito), di concepire un astruso equalizzatore per il calcolo delle imposte sui titoli senza cedola e sulle sicav (poi fortunatamente soppresso perché inutilmente cervellotico a fronte del gettito che produceva). Questo per ricordare solo alcune sue “prodezze”.

Oggi sostiene che non tutte le amministrazioni pubbliche dovrebbero rispondere alle stesse regole amministrative: in alcuni casi dovrebbero comportarsi come imprese private. A tale proposito racconta l’aneddoto che ho riportato, riferito alle manifatture Tabacchi.

E’ certamente allucinante che per assumere un elettricista sia necessario indire un concorso pubblico con tutte le formalità burocratiche del caso. Ma ancor più allucinante, a mio parere, è che lo Stato debba espandere a tal punto il proprio raggio d’azione da arrivare perfino a produrre sigarette (ovviamente questa circostanza mi era nota da molto tempo, ma l’articolo di Visco mi ha fornito un utile spunto per occuparmene). Cosa che, invece, pare non stupire per nulla Visco.

Procura il fumo agli italiani, poi ne fuma il denaro tassandoli. E quando lo Stato fuma, aspira tutto.

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