PREMESSA
Le odierne vicende della Tav (non solo della Valsusa, ma dell’intero faraonico progetto) ricordano da vicino una analoga vicenda “ferroviaria” che l’Italia ha conosciuto nell’Ottocento. Anche allora la costruzione di una nuova rete ferrata era diventata l’occasione di una grossa e corale rapina di pubbliche risorse, in cui si erano accatastati poteri forti, finanzieri internazionali, interessi di partito, macchinazioni di loggia e appetiti di potenti: lo stesso re Vittorio – il galantuomo – prendeva tangenti su tutti gli appalti pubblici e sulle ferrovie in particolare, al punto da venire maliziosamente chiamato “re traversina”. Anche allora assieme a linee e tracciati fondamentali e utilissimi si erano costruite ferrovie “politiche” e rami secchi: tutto era però costato cifre iperboliche, molto superiori a quelle spese da altri paesi e dagli stessi Stati preunitari per interventi analoghi. La retorica patriottica ha sempre sostenuto che la rete fer
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