di ELISA BORGHI
“Tibet: la Cina apre, Wen promette libertà religiosa”. Cosi l’agenzia “Agi China” lanciava, venerdì, una notizia quantomeno sorprendente, visto il consolidato quadro di repressione della minoranza buddista in cui si inserisce. “Il premier cinese Wen Jabao – continuava il dispaccio – assicura che Pechino garantirà la libertà religiosa e le tradizioni culturali dei tibetani”. “Ci impegneremo - proclama Wen - per migliorare le condizioni di vita dei nostri compatrioti”. La dichiarazione è stata accolta dai media con un certo stupore, motivato dal fatto che le forze di sicurezza cinesi ancora a gennaio assassinavano chi manifestava per l’autonomia (ultimi a morire, in ordine di tempo, un monaco e suo fratello), provocando, per contrappasso, le disperate immolazioni dei lama: a inizio febbraio un monaco si dava fuoco in segno di protesta contro “l’occupazione” cinese nello Qinghai.
E’ dunque lecito accogliere criticamente i proclami
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