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Tortura, dolore potere: la forza “legittima” dello stato

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di LUIGI VERO TARCA

“[…] Noi facciamo fatica ad ammettere che la nostra concezione del mondo si basa sulla tortura e pone questa come fine; eppure avremmo molte meno resistenze ad ammettere che essa si basa sul potere. Certo, anche rispetto a questa affermazione, avremmo, d’istinto, qualche perplessità; che però riusciamo a superare abbastanza facilmente. Vediamo come.

Noi tutti oggi riconosciamo, senza nemmeno più sentirci in dovere di riflettere o di giustificare tale asserzione, che il fondamento della convivenza civile positiva è la democrazia. Cioè lo Stato democratico. Ma lo Stato è, stando alla definizione weberiana, che nella nostra civiltà è ormai passata in giudicato, il monopolio legittimo della forza. Ora, la parola “forza” è un altro modo per dire “violenza”. Per rendersene conto basta osservare da un lato che l’uso della forza implica sempre una qualche forma di coercizione e quindi di danneggiamento, e dall’altro lato che la violenza consiste nell’infliggere intenzionalmente a qualcuno un danno (cioè qualcosa di doloroso per lui). Dunque per noi tutti è pacifico che a costituire la base della nostra convivenza è il soggetto che detiene il monopolio della violenza (cioè lo Stato).

E non si sfugge a questa imbarazzante conclusione sottolineando la presenza, nella formula weberiana, di quel “legittima”. Non, almeno, fin tanto che non si sia in grado di rispondere alla questione relativa a che cosa si intenda con tale termine. Perché, o esso significa semplicemente “istituita dal potere stesso mediante una legge”, ma in questo caso abbiamo chiaramente a che fare con un circolo vizioso, oppure significa qualcosa come “giusta”, ma allora ci si assume il difficile compito di dimostrare che vi può essere un danneggiamento che è “giusto”. Impresa ardua, se non disperata, per il semplice motivo che questa fondamentale nozione (giusto) definisce ciò che ha valore per tutti (ciò che vale universalmente), e dunque risulta immediatamente contraddittoria ove sia riferita a un’azione che per definizione non vale per qualcuno: essa non vale, infatti, almeno per chi contro la propria volontà subisce un danno. […]

Pertanto, in mancanza di un’impossibile (in quanto autocontraddittoria) individuazione di una “violenza giusta”, la formula weberiana del “monopolio legittimo della forza” si trasforma inevitabilmente nella “legittimazione del monopolio della violenza”. In quanto tale lo Stato può ben essere visto come l’organizzazione sistematica della violenza. Perché “sistematica” significa qualcosa di ben diverso di “indiscriminata”; anzi, trasformare la violenza in un operare sistematico richiede grande organizzazione e grande sapere; grande intelligenza e abilità, cioè grande capacità discriminatoria. “Sistematica”, infatti, vuol qui dire che la diffusione universale della violenza procede secondo una logica precisa e in qualche misura necessaria”.

Estratto di “Tortura, Dolore, Potere”.

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