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Transizione ecologica, una forma di suicidio dell’Europa

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di MATTEO CORSINI

Come noto, Donald Trump ha nuovamente ritirato gli Stati Uniti dagli accordi di Parigi per contrastare il cambiamento climatico. Ne è seguito il prevedibile allarme, soprattutto tra coloro per i quali la lotta al cambiamento climatico rappresenta una fonte (a volte l’unica) di reddito.

Ecco quindi l’altrettanto prevedibile auspicio che l’Europa vada avanti a testa bassa, nonostante emetta meno delle altre grandi aree del pianeta e stia già da tempo riducendo le emissioni.

Secondo Carlo Buontempo, direttore del “Copernicus climate change service” europeo, “l’Europa è all’avanguardia a livello internazionale sulla politica climatica, sia sul fronte della mitigazione che dell’adattamento. Da questo punto di vista, abbiamo scelto una strada distinta e quasi contrastante rispetto a quella americana e questa leadership va difesa. Al momento non abbiamo segnali di rallentamento della transizione ecologica, ma qui il problema, più che dalla nuova amministrazione americana, proviene dall’interno, dai singoli Stati che si tirano indietro. Anche qui si tratta di decidere se vogliamo partecipare alla competizione globale o no”.

E quando gli si fa notare che l’Europa non è il continente che emette di più, Buontempo replica:

“È vero che l’impatto attuale della Cina e degli Stati Uniti conta di più, perché sono potenze economiche e industriali più importanti, però ci sono due aspetti che vale la pena di sottolineare. Uno è la responsabilità dell’Europa nell’accumulo storico dei gas serra in atmosfera, visto che l’Europa, insieme al Regno Unito, è stata la pioniera della rivoluzione industriale. L’altro è un aspetto di leadership ideale: diventare i paladini della transizione e dimostrare che si può fare è un ruolo storico che l’Europa sta svolgendo molto bene e non si vede perché dovrebbe perderlo”.

Qui siamo a una sorta di wokeismo climatico: così come l’uomo bianco oggi deve pagare per aver praticato la schiavitù secoli addietro, deve anche essere più zelante nella riduzione delle emissioni, perché ha iniziato la rivoluzione industriale. E pazienza se i cinesi, leader nella produzione di rinnovabili ma principali utilizzatori di carbone, emettono ben di più e continueranno a farlo nei decenni a venire.

Nel frattempo qui si può serenamente mandare in rovina interi settori produttivi, pur di “diventare i paladini della transizione”. Che poi chi lo dice non solo non abbia lo stipendio a rischio, ma faccia carriera grazie alla transizione a tappe forzate, è solo un dettaglio, ovviamente.

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