Verso le 12 dello scorso 8 novembre stavo sorseggiando una birra al termine dell’ultima tappa del mio giro di quest’anno per le montagne nepalesi. Meteo ottimo tutti i giorni, salita in vetta al Lobuche East il 3 novembre in condizioni perfette, quindi bilancio pienamente soddisfacente.
A quel punto, però, la mente è tornata alle beghe quotidiane della mia vita occidentale, e ho realizzato che, tenendo conto del fuso orario, negli Stati Uniti stava iniziando il giorno delle elezioni presidenziali. Tre settimane prima, quando ancora non ero partito, Hillary Clinton era data in vantaggio, soprattutto nelle opinioni di quelli che poco tempo fa Nassim Taleb ha (a mio parere condivisibilmente) definito “Intellectuals Yet Idiots“. Si tratta di quel vasto mondo di accademici, giornalisti ed esperti vari che la fanno da padroni sui mezzi di informazione e che adorano il popolo e la democrazia quando il risultato del voto è in linea con i loro desiderata, salvo lamentare l’ascesa del populismo quando gli elettori (a quel punto sempre incapaci di intendere e di volere) determinano un risultato a loro sgradito.
Gli IYI avevano già toppato con la Brexit: poteva ripetersi un esito simile con le presidenziali americane?
Mi sono fatto questa domanda finendo di bere la birra e rimandando al giorno successivo la risposta, aspettando il risultato proveniente dalle urne americane. Non che la cosa destasse particolare interesse nel nepalese medio: all’orario in cui cominciavano a uscire i primi responsi, nell’unico televisore del lodge dove mi trovavo il gestore del telecomando passava da un documentario con un leone che sbranava uno gnu, con tanto di primo piano del felino col muso fradicio di sangue della preda (immagine molto veganamente scorretta), a una partita di calcio del campionato indiano di massima serie, in cui ogni 20 secondi c’era un fallo con sceneggiate tali da fare impallidire anche i sudamericani: alla fine l’arbitro ha espulso 3 giocatori e assegnato 9 minuti di recupero, di cui credo non si siano giocati più di 30 secondi.
Su insistenza di un turista probabilmente americano (in assenza di connessione internet in quel posto non c’erano altri modi di avere notizie di prima mano sull’andamento delle presidenziali), il gestore del telecomando ha poi sintonizzato la TV sulla CNN. Ed ecco che l’incubo degli IYI si stava materializzando: Trump era in vantaggio e i repubblicani stavano per ottenere il controllo di entrambe le camere.
Sgomento negli sguardi dei giornalisti ed esperti vari che commentavano in diretta gli eventi. Fino all’ufficialità del risultato: Trump presidente. Non sto ora a entrare nel merito di questo esito e di ciò che Trump ha promesso di fare: mi limito a osservare che, più di altre volte, gli elettori che decidevano di andare a votare potevano solo scegliere tra il male e il peggio. La mia mente è subito andata, invece, ai tanti IYI, a cui si era unito gran parte del mondo dello spettacolo, tipicamente (e ipocritamente) left liberal.
Prendete Madonna, pop star anni 80 che ancora oggi si atteggia a ventenne, la quale in un accorato appello a votare Clinton aveva promesso poche settimane prima delle elezioni di praticare una fellatio a ogni uomo che avesse contribuito al successo della candidata del partito democratico. Il giorno dopo, secondo quanto ho letto sul Kathmandu Post, Madonna avrebbe affidato a Twitter il suo pensiero di combattente della resistenza: “We’ll never give up”. Al che mi sono chiesto: la pratica della fellatio a chiunque votasse Clinton era il mezzo per raggiungere il fine elettorale o era essa stessa il fine? E con questo dilemma in testa anche quest’anno ho salutato il Nepal e sono rientrato in Italia.