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Un invito per chi ha buon senso: “liberiamoci”!

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LIBERIAMOCIdi GUGLIELMO PIOMBINI

In un libello che ebbe un sorprendente successo in Francia e in Italia qualche anno fa, intitolato “Indignatevi!”, Stéphan Hessel esortava a indignarsi contro le ingiustizie del mondo. A ben guardare, però, l’indignazione è un sintomo d’impotenza, e rappresenta spesso l’alibi di chi, invece di agire in prima persona, si appella alle autorità perché “facciano qualcosa”. L’economista Pascal Salin, capofila della scuola austriaca in Francia, propone invece un imperativo differente nel suo nuovissimo saggio “Liberiamoci!”, prontamente tradotto in italiano da Lorenzo Maggi per le edizioni Liberilibri di Macerata (p. 68, € 12,00). Smettetela di lamentarvi, dice Salin, e comportatevi in maniera dignitosa, come veri esseri umani; prendete in mano le vostre vite; abbandonate la via della schiavitù e scoprite la via della libertà, che è anche la via della prosperità; siate responsabili e progredirete sia a causa dei vostri successi e dei vostri fallimenti. E non aspettatevi nulla dallo Stato che, anche se non ne siete perfettamente consapevoli, vi mantiene in schiavitù: «indignarsi, reclamare, tendere la mano, tutto ciò non è degno di voi, figli della libertà. Avete diritto alla libertà ed è l’unica cosa che possiate rivendicare. Rispettate gli altri e i loro legittimi diritti e pretendete solo che si rispettino i vostri. Vedrete che in questa società liberata da tutte le sue catene, fioriranno la prosperità e la pace e, trascinati da questo Rinascimento, potete progredire e migliorare il vostro destino».

Ma da cosa bisogna liberarsi? Dai tentacoli dello Stato, che sottomette gli individui sostituendosi a loro nelle decisioni più importanti della vita, come quelle che riguardano la salute, l’istruzione, il lavoro, la casa o la pensione. Occorre invece rivendicare il diritto di decidere autonomamente e di contrattare liberamente in tutti quegli ambiti in cui oggi i politici o i burocrati decidono al nostro posto. Per arrivare a questo è necessario però liberarsi prima dalle catene del pensiero statalista che avvolge le menti della maggioranza degli europei. Purtroppo, dopo decenni di indottrinamento scolastico e di propaganda mediatica, la fede di molti cittadini europei nello Stato è spesso profonda e sincera. Fatte le debite proporzioni, gli europei di oggi secondo Salin assomigliano ai tanti sudditi dei regimi totalitari che, con convinzione e in perfetta buona fede, hanno creduto a lungo nella superiorità del comunismo. Tagliati fuori dal mondo e inconsapevoli della possibilità di poter pensare diversamente, molti di loro si sono accorti solo dopo la caduta dei regimi quanto fossero assurde e inverosimili le loro credenze.

CAPITALISMO CATENEUna scossa del genere, secondo l’economista francese, dovrà per forza di cose scuotere anche le radicate convinzioni dei francesi, degli italiani, dei tedeschi, degli spagnoli o dei greci, perché la fiducia illimitata nell’azione salvifica dello Stato è destinata a sgretolarsi davanti alle dure repliche della realtà. Certo, osserva Salin, non è facile accettare l’idea che ci si sia potuti ingannare o ci si sia sbagliati in maniera così clamorosa e per tanto tempo. Bisogna però avere il coraggio di accettarlo e di ritrovare, grazie alle risorse della propria ragione, i mezzi intellettuali di un nuovo ottimismo. Bisogna ammettere che, nonostante i tabù, il modello socialdemocratico europeo è completamente fallito, perché ha portato alla stagnazione economica e alla disoccupazione, ha distrutto la speranza, in particolare per i giovani, ha generato povertà, creato frustrazioni e moltiplicato le fratture nella società. Non è possibile, secondo Salin, che nonostante questo fallimento il pensiero dominante resti immutabile e ampiamente accettato, quando è la causa evidente di questo dissesto.

Ormai in Europa le “politiche di crescita” basate sull’intervento statale sono state provate tutte, con risultati pessimi. C’è chi continua a chiedere un rilancio attraverso la spesa pubblica, ma questa ha già raggiunto da tempo livelli record in quasi tutti i paesi dell’Unione, e va sempre a scapito della spesa privata; c’è chi raccomanda una politica monetaria più espansiva, ma la creazione di nuova moneta non crea nuova ricchezza, ma solo inflazione ed eventualmente crisi finanziarie; c’è chi invoca un “patto europeo per l’occupazione” dai contorni sempre piuttosto vaghi; altri predicano l’aumento delle spese di ricerca e formazione o il lancio di grandi progetti europei finanziati da eurobond, che rischiano però di diventare ulteriori fonti di sperperi; infine non mancano mai nella lunga serie delle presunte ricette per la crescita il protezionismo o la lotta contro le delocalizzazioni.

Queste proposte, spiega Salin, non hanno nulla di rivoluzionario. Sono state tutte invocate un gran numero di volte e sono tutte state tentate senza che si sia mai prodotta la crescita. Hanno un grave difetto che le accomuna: presuppongono l’adozione di concetti globali (la spesa pubblica, la massa monetaria, la percentuale del pil destinata alla ricerca, ecc.) come se l’economia fosse una grande macchina di cui un governo può manipolare le sue leve a piacimento. L’attività economica è invece qualcosa di completamente diverso: è il risultato di un gran numero di decisioni, grandi e piccole, prese dagli individui per adattarsi meglio al loro ambiente e per migliorare la propria condizione. La crescita è dunque il risultato non intenzionale e largamente imprevedibile di tutte queste decisioni umane, in particolare di quelle che vengono prese dagli imprenditori innovatori.

SALINOvunque si è tentato di tutto per ridurre la disoccupazione, tranne l’unica politica che avrebbe avuto successo: quella che consiste nel liberare le energie umane eliminando tutti gli ostacoli che impediscono agli individui di lavorare e di innovare. Non si è tentata la sola ricetta che porterebbe al successo, quella che consiste nel dire agli uomini dello Stato: “Liberateci! Liberateci dalle vostre regolamentazioni soffocanti! Liberateci dalle vostre imposte schiaccianti! Lasciateci fare e vedrete ciò che siamo in grado di fare”. Provate a immaginare, chiede Salin, come sarebbe il nostro mondo se i politici non potessero più costringervi ad acquistare i loro (dis)servizi pubblici in regime di monopolio. Invece di avere un’economia che si trascina con tassi di crescita dell’1 % o sottozero, sarebbe possibile avere un tasso di crescita molto superiore con una  pressione fiscale infinitamente più bassa, come nell’Italia degli anni ’50 e ’60, ai tempi del miracolo economico: «Sareste di certo felici se il vostro reddito aumentasse del 5 o dl 6 % all’anno. Ebbene, questo è possibile. Ma perché ciò avvenga dovete accettare di rinunciare ai miraggi del presunto “modello sociale” europeo, dovete accettare di non attendervi tutto dallo Stato e, come contropartita, potrete pagare molte meno imposte e constatare un rapido miglioramento del vostro potere d’acquisto».

Non credo che queste parole di Pascal Salin siano solo un pio desiderio. È vero che oggi in Italia la situazione appare tragica e senza via d’uscita. Le cose però prima o poi cambiano, all’inizio nelle menti delle persone e poi anche nella realtà. Spesso la storia sterza all’improvviso, quando nessuno se lo aspetta, nel momento in cui i fenomeni sotterranei di malcontento raggiungono il loro acme. Molti segnali, infatti, indicano che qualcosa di grosso sta bollendo in pentola: l’insofferenza della gente comune verso i ceti politico-burocratici privilegiati, che sta ormai tracimando in un odio vero e proprio; la sempre più probabile bancarotta dello Stato italiano; la diffusione di forti sentimenti indipendentisti in Veneto e in altre regioni del Nord Italia; la continua delusione dell’elettorato verso i governi eletti, regolarmente bocciati all’elezione successiva; il disprezzo per la politica e l’aumento dell’astensionismo elettorale; la crescente consapevolezza che l’intervento statale è la causa, e non la soluzione, dei nostri problemi.

E se a questi fattori interni aggiungiamo alcuni detonatori esterni, come il successo dei movimenti indipendentisti nel mondo o la possibile vittoria del candidato repubblicano di idee libertarie Rand Paul nelle elezioni presidenziali americane del 2016, ce n’è quanto basta per assistere a un grande riflusso delle idee su scala globale, simile a quello che nei primi anni ’80, dopo un decennio dominato dalle più disastrose ideologie di estrema sinistra, favorì l’emergere del reaganismo e del thatcherismo. Ecco perché dobbiamo condividere e diffondere le parole conclusive del libro di Pascal Salin: «E voi, cari lettori, spezzate le catene della schiavitù ideologica in cui politici, media, scuole e università cercano di rinchiudervi e proclamate incessantemente questo grido: LIBERIAMOCI!»

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3 COMMENTS

  1. Mi dispiace comunicarvelo ma Rand Paul non ha la più minima possibilità di spuntarla nelle presidenziali malgrado le sue genuflessioni davanti alla gente che conta.

  2. Infatti il Blocco Identitario si rende perfettamente conto che è proprio lo Stato il veicolo usato dai nemici dei popoli francesi per reprimere gli autoctoni e che la salvezza – se arriverà – verrà dal basso, da gruppi decentrati comunitari e sociali. Corsi di autodifesa sono un ottimo punto di partenza, e le conoscenze imparate in palestra saranno sempre più utili nella Unione Sovietica Europea.

  3. Bellissima disanima,ideale perseguibile da tutti, si eliminerebbe il concetto Noi Loro.Questo convergere creerebbe un minimo comun denominatore sociale necessario all’espansione individuale e collettiva.Potrebbe portarci,nel momento che sostituiremo la carta e le persone che la movimentano, a quelle regole utili per tutti i ns atti, precodificate dalla compartecipazione, utilizzando la telematica. Questa modalità comportamentale trasparente, ci porterà ad una sorta accettata di dirigismo nella asettica formalità.Sempre meglio della ipotizzata troica, forca caudina a cui sembra siamo diretti. Scopriremo che il metodo della DD con i filtri locali e Regionali potrà essere la soluzione.

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