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Un tedesco contro Hitler: ecco spiegato perchè Draghi è un pericolo

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di ALEX SWAN

Del nazismo, di quello che è stato, di tutte le sue gravità e atrocità, non si finisce (giustamente) mai di parlare, ma è interessante quando si scoprono testi che ne vanno ad analizzare i motivi che portarono ad un tale orrore, cercando di capire come la Germania, una grande democrazia europea forte della sua tradizione culturale e filosofica, ci fosse precipitata senza sosta e per moltissimo tempo.

Sebastian Haffner (1907-1999) ce lo racconta nel suo libro, intitolato “Un tedesco contro Hitler” (Geschichte eines Deutschen), scritto alla fine degli anni Trenta, ma pubblicato due anni dopo la sua morte, uscito di recente anche in Italia per Skira nella traduzione di Claudio Groff.

L’autore, il cui vero nome era Raimund Pretzel, analizza il fenomeno contestualizzandolo, partendo dall’analisi della sua vita, quella di un tedesco come molti altri, ma con tanta voglia di imparare e di cambiare. Era un conservatore liberale, cresciuto in una famiglia di funzionari prussiani devoti allo Stato e fedeli alle sue istituzioni. Studiava legge per diventare giudice, ma solo “per compiacere i suoi genitori”; aveva molti amici ebrei, tra cui una giovane donna con cui aveva un rapporto di amore e amicizia allo stesso tempo e guardava con grande disprezzo tutto quello che nel frattempo stava accadendo intorno a lui, nella sua Berlino, soprattutto in quei dodici mesi in cui Hitler fece di tutto.

Il socialista Hitler, a capo del partito dei lavoratori tedeschi, riuscì in poco tempo a diventare cancelliere, ad abolire i partiti politici, ad eliminare il giusnaturalismo, sopprimere le libertà universali individuali a favore di un ipotetico e superiore bene comune (il bene sociale), e ad approfittare dell’incendio del Reichstag per riportare il Paese alle urne, ottenendo così dal popolo pieni poteri e militarizzando l’intera società – dalla funzione pubblica alle attività forensi

Di continuo, energumeni in camicia bruna irrompevano negli uffici o in luoghi pubblici e malmenavano gli ebrei lì presenti, gettandoli in strada. “L’autore disapprovava tutto questo, ma era convinto, all’inizio, che una tale follia non potesse durare”. “Nel momento del suo maggiore successo il partito nazionalsocialista a aveva conquistato il 44% dell’elettorato. Era una percentuale importante, ma dove era il 56% che non aveva votato per Hitler?”, fa notare. “Perché non si alzava in piedi e non gridava il suo ‘no’ a quella brutale esibizione di forza e di arbitrio?”.

Haffner – che inizia col raccontare la sua infanzia in Pomerania, la sua famiglia, i suoi studi, le sue scelte e poi la sua fuga – ci racconta quella storia, che è poi anche la sua, una storia che ha per argomento una specie di duello tra uno Stato presente, forte e brutale e un privato cittadino, anonimo e sconosciuto. “Quest’ultimo viene a trovarsi esclusivamente e continuamente sulla difensiva e non desidera altro che proteggere ciò che, a torto o a ragione, considera la sua personalità, la propria vita e la propria privata onorabilità, costantemente aggredito proprio da quello Stato in cui vive e col quale ha a che fare, con mezzi estremamente brutali anche se abbastanza grossolani”.

Il privato cittadino – aggiunge – non è preparato all’aggressione di cui era vittima, non era un eroe nato né un martire, ma un uomo qualunque che si impegnava nel duello ma senza entusiasmo – ovviamente molto più debole del suo avversario – fino a interrompere quel combattimento o a trasferirlo su un piano differente. Proprio come fece lui, che nel 1938 decise di emigrare a Londra con la fidanzata ebrea per fuggire al nazismo, una maniera per chiudere anche con la professione giuridica ed intraprendere la strada del giornalismo, iniziando a collaborare con il The Observer di cui, anni dopo, divenne caporedattore, oltre che inviato da Berlino dal 1954 fino alla costruzione del Muro undici anni dopo.

Come era possibile, dunque, che un grande popolo civile accettasse di rinunciare alla propria autonomia intellettuale quando veniva costretto a gridare ‘Heil Hitler!’ di fronte a una croce uncinata o di balzare in piedi se la radio trasmetteva un suo discorso ? “Fra terribili minacce – scrive Haffner – questo Stato pretende che il privato cittadino abbandoni i suoi amici, lasci le sue ragazze, rinunci alle proprie idee, saluti in modo diverso da come è abituato, mangi e beva cose diverse da quelle che gli piacciono, impieghi il tempo libero in occupazioni che detesta, rinneghi il proprio passato e il proprio Io, e, cosa fondamentale, mostri costantemente nei riguardi di tutto questo il massimo entusiasmo e la massima riconoscenza.”

Haffner, che nel corso della sua vita ebbe un ruolo fondamentale nel mondo dell’informazione tedesca, scrivendo sua per Die Welt che per Stern, analizza tutto questo con una lucidità a tratti disarmante, ma non predica mai una morale, nonostante il libro ne abbia una “che attraversa tutto e va oltre il tutto”, come la definisce, una morale muta che non va affatto dimenticata.

Come ripeto spesso, il pericolo fascista non è dato da un gruppo di quattro imbecilli col braccio teso ma è dato dalla violenza dello stato a maggioranza democratica contro un gruppo.

Hitler fu eletto a maggioranza così come Conte prima e Draghi poi, detengono il consenso della maggioranza, seppure nessuno li abbia mai votati. E in questo si dimostrano persino peggiori dei NAZISTI che quantomeno erano stati eletti a maggioranza, seppur da una maggioranza di cerebrolesi alla stregua dei grillini. Insomma, vome mai la Germania precipitò nel nazionalsocialismo? Il libro di Haffner ci spiega perché.

Se ancora vi rifiutate di credere che siamo in serio pericolo, non saprei più che altro aggiungere per mettervi in guardia. Ho finito gli argomenti.

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5 COMMENTS

  1. …ma siccome il dubbio è scomodo, la Bestia Umana lo rifiuta e si tira mazzate sulle palle. Grazie comunque del lavoro informativo. E soprattutto COMPLIMENTI per il messaggio di accettazione dei cookies 😀 MITICO!!!

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