Ciao Gilberto, è con un senso di frustrazione – di tipo razionale prima ancora che emotivo (la morte è pur sempre un fenomeno naturale!) – che ho appreso la notizia della tua partenza per l’ultimo tuo viaggio. In un Paese “normale”, in un Paese stretto attorno alla sua storia, alle sue origini, alla sua cultura ed ai suoi uomini di valore, l’intero popolo avrebbe dovuto piangere unito la perdita di una figura umana di così grande levatura, etica prima ancora che intellettuale, qual’eri tu: la perdita di un uomo che ha finalizzato la sua vita e la sua opera alla ricerca di inconfutabili verità in riferimento alle enormi tragedie subite del suo popolo nel corso della toria più recente. Popolo, ben s’intende, inteso come l’insieme dei diversi popoli che ancora sopravvivono nel variegato territorio della valle del Po, ma che pur sempre hanno per comune origine la grande, antica, civiltà celtica.
Ti ero amico, Gilberto, ma quest’amicizia è stata forse frustrata dal grande rispetto – potrei anche dire venerazione! – che avevo per te, situazione che non mi ha mai permesso di darti troppo confidenza seppure tu fossi una persona pienamente disponibile all’amicizia ed al cameratismo.
Ci siamo incontrati per la prima volta sotto un tendone a Pontida forse una decina d’anni fa. Eri completamente indaffarato ad aprire scatoloni di libri da proporre in vendita ai padani che affollavano la storica spianata. In quell’occasione mi hai aiutato a trovare un editore per il mio “nuovo” lavoro – lo stesso editore che ha pubblicato la maggior parte dei tuoi libri – ma nello stesso momento mi hai messo in guardia dal non farmi troppe illusioni o avere eccessive speranze di successo dalla vendita dei libri di storia. Nello stesso tempo però mi hai anche incoraggiato, dicendomi che io ero “l’unico in Veneto che si occupasse di queste cose, non ce n’erano altri…”. Per me una grande boccata d’ossigeno!
Il concetto di fondo che mi hai suggerito in quell’occasione – e che certo ho poi sperimentato di persona – è che lo studiare, lo scrivere, il pubblicare libri non può essere, pur se supportata da una grande ambizione e da un’intima scelta etica, che una sorta di volontariato profondamente individuale che non prevede in realtà alcun altro riconoscimento, né umano né economico, se non la tua stessa autostima. E questa è stata la prima grande lezione di realismo che hai saputo darmi. Grazie!
Ci siamo sentiti altre volte per telefono o attraverso “mail” per preparare la pubblicazione nei Quaderni Padani del mio “Dossier Cavour”, e mi ricordo la tua inflessibile “severità” – ritengo tipicamente piemontese – nel costringermi a rispettare sia le tipologie dei caratteri da usare, sia i tempi concordati per completare il lavoro. Ci siamo poi rivisti qualche anno dopo all’hotel Cavalieri a Milano in un convegno. Mi hai concesso libertà di parola ed io ne ho approfittato al mio solito modo, sfogandomi in un’iperbole di radicalismo secessionista.
Ma la notizia della tua morte, Gilberto, va oltre al dolore per la perdita di una persone di valore a cui facevo riferimento. La frustrazione è dovuta soprattutto a questa considerazione: Miglio ha dato tanto e avrebbe dato la vita per il riscatto della sua terra e del suo popolo dal colonialismo romano, ma è morto senza vedere alcun il risultato tangibile dalla sua opera. La stessa cosa si può dire di te, che di Miglio eri discepolo. Quando verrà la mia ora, la stessa cosa si potrà dire di me, così come di tante altre migliaia e milioni di persone sconosciute che credevano e che continuano a credere nella causa del riscatto dei nostri popoli dal “leviatano” romano: nella causa della libertà. Possibile che ogni sforzo su questo piano sia del tutto inutile semplicemente perché la “cupola” mafiosa che si è insediata a Roma nel 1870 per dirigere la politica e per vivere sulle nostre spalle, continua a dirci di no?
Io credo, Gilberto, che questa tua prematura scomparsa possa e debba indurre tutti noi a sviluppare pensieri elevati: a metterci – tutti noi, poveri, onesti e umili patrioti – nella condizione di meditare a fondo per qualche tempo sulla nostre sconfitte storiche. E soprattutto di metterci nella condizione – questa volta seria – di prefigurare con realismo un riscatto.
Bisogna sempre ricordare le parole conclusive di un tuo articolo del gennaio 2014 e farne tesoro: “Se non si riesce adesso a mettere assieme quel che di buono c’è rimasto nella Lega e nei movimentini con la pacata ma forte voglia di libertà della nostra gente, allora è meglio chiuderla lì e rassegnarci a morire italiani”. Ok, non ci rassegneremo, ma dobbiamo vedere come uscirne. Certo, non come facevano quelli dell’ETA in Spagna o dell’IRA nell’Irlanda del Nord qualche anno fa. Si tratta invece di imporre qui una battaglia leale sul piano democratico e istituzionale. Non c’è alternativa. Ma qualcosa bisogna pur pensare di fare! E la prima cosa, a mio modesto avviso, è quella di finire una volta per tutte con le parole che non servono ad altro che a piangerci addosso!
La seconda cosa necessaria è che i padani la smettano una volta per tutte di continuare a credere in personaggi squallidi che negli ultimi vent’anni almeno, hanno pensato molto più all’iperbole del loro conto in banca, che ai loro giuramenti pubblici in difesa degli interessi collettivi dei popoli che li hanno eletti. In altre epoche, questi non pochi traditori avrebbero fatto la stessa fine di Masaniello in piazza Mercato a Napoli: appesi ad una fune per pubblico tradimento! E quando si dice di por fine alle chiacchiere, si intende dire che chi è delegato l’azione politica deve incominciare finalmente operare con sufficiente professionalità, e che un massimo di onestà intellettuale e di riservatezza appare dote necessaria per produrre fatti e non parole.
Io credo che la tua morte, Gilberto, possa rappresentare l’inizio di un ripensamento profondo in grado di darci la forza di ricominciare nel rilanciare un’azione sul piano politico in tuo nome. Se ci crediamo… altrimenti “è meglio chiuderla lì e rassegnarci a morire italiani”. Io, quale “ultima ruota del carro” (così si dice in Veneto) provo a buttare lì qualche idea:
1) Dobbiamo istituire immediatamente una Fondazione Gilberto Oneto che dovrà servire quale strumento – non tanto e non solo culturale quanto politico – di lavoro finalizzato alla futura secessione di Lombardia e Veneto. Primo passo e primo impegno solenne per il riscatto dell’intera Val Padana.
2) Dobbiamo finire di credere che i grandi obiettivi e i grandi ideali possano essere conquistati facendo “le nozze coi fichi secchi”. Ogni vera “rivoluzione” richiede, già dall’origine, il disporre di una adeguata copertura economica, altrimenti “è meglio chiuderla lì e rassegnarci a morire italiani”.
3) Dobbiamo fare tesoro dell’esperienza risorgimentale servita alla formazione di questa “sfigata” di Italia, che non regge né ai principi ideali, né alla sostenibilità economica, stante i suoi ripetuti deficit di bilancio annuali iniziati già dal 1861(1), e al debito pubblico alle stelle… malgrado i cento miliardi di € succhiati annualmente, quale residuo fiscale, alle regioni padane nei tempi moderni. Questa esperienza ci dice che c’è stato bisogno, per far questo – manu militari – di un grande finanziatore (Vittorio Emanuele II); di un grande ideologo (Mazzini); di un grande politico (Cavour); di un grande condottiero (Garibaldi); e di una grande figura istituzionale (in realtà nato e vissuto per i primi venti anni della sua vita a Roma) in appoggio esterno (Napoleone III).
Per poter disfare tutto questo e per tornare alla grande civiltà italiana dei diversi Stati sovrani (civiltà che è durata dalla caduta dell’Impero Romano del 476 d.C. fino al 1861) – o a latere ad un vero Stato Confederale italiano con capitale Milano – ci sarà bisogno, a mio modesto parere, di individuare oggi altrettante figure di spicco nei diversi campi sopra citati per poter sperare di vincere il rapporto di forza con Roma, e riuscire ad avere, così, legittimamente, partita vinta.
Sono stati migliaia gli imprenditori di aziende piccole, medie e grandi che in questi ultimi anni, per sfuggire “alle sanguisughe romane” si sono trasferiti dalla Padania all’estero per non morire suicidi e per sviluppare, in un clima economico più favorevole, il loro busines. Possibile che di tanta ricchezza, creata in questi ultimi decenni dentro e fuori l’Italia, una piccola parte di questa non possa – in modo volontaristico – essere impiegata per sviluppare una battaglia politica in favore della libertà economica e istituzionale delle regioni padane, prede del peggior colonialismo sia di tipo economico che – ancor peggio – culturale? Possibile che fra i tanti imprenditori che si sono arricchiti in questi ultimi decenni in Padania col fondamentale aiuto delle forze-lavoro locali, non possa emergere un mecenate (chiamiamolo pure “sponsor”!) che, per una finalità ideale non accetti di sostenere – a piè di lista – le spese necessarie affinché un piccolo gruppo di persone oneste possa, in tempi ragionevoli, far politica, certo senza arricchirsi, ma anche senza intaccare i propri legittimi e modesti bilanci familiari? Questo “sponsor” non potrà permettere certo che altre persone – come quelle che abbiamo conosciuto nel più recente passato – si arricchiscano facendo politica a Roma o barattando gli ideali col vil denaro, ma dovrà sicuramente evitare che, in questo specifico caso, il far politica significhi far “volontariato” perché questo dilettantesco sistema può rappresentare, sia una condizione negativa per la stabilità delle unioni familiari, sia soprattutto l’inibizione di ogni prospettiva seria di dare piena efficienza all’azione politica di questa Fondazione. Del resto questo magnate – se davvero ci crede – si dovrà adottare, fin dall’origine, di un suo specifico Amministratore Delegato, figura prettamente tecnica che dovrà contabilizzare ogni pur minima, ma legittima, spesa finalizzata al perfetto funzionamento della Fondazione G. Oneto.
4) La Fondazione G. Oneto sarà finalizzata per Statuto – questa volta sì – alla Secessione della Padania, e avrà un Consiglio esecutivo formato da “poche ma deliberate persone” (come diceva Cattaneo nel 1848), tra cui sperabilmente dei giovani seri e preparati. Dal seno di questo Esecutivo dovrà emergere, per elezione diretta, la figura del Presidente, che deterrà tutti i poteri che l’Esecutivo gli delegherà per non più di due anni, e che potrà essere rieletto solo per una seconda volta.
Originariamente, l’avvio di questa fondazione dovrà essere gestita da un soggetto “coordinatore” che io già dall’oggi cercherei fra i principali stretti collaboratori di Gilberto Oneto nell’opera di fondazione del giornale on-line “Il Miglio Verde”. Parlo ovviamente di Gianluca Marchi e/o di Leonardo Facco. Compito di questo coordinatore dovrà essere quello – ammesso che emerga uno sponsor finanziatore di livello adeguato – di raccogliere le adesioni, impostare per sommi capi lo Statuto fondatore che l’assemblea dei soci legittimerà, dare esecuzione all’atto notarile ed ipotizzare un primo abbozzo di organigramma dell’Esecutivo, che passerà successivamente al vaglio della prima assemblea pubblica.
5) Ritengo che “a regime”, l’Esecutivo di questa Fondazione G. Oneto potrà riunirsi almeno con cadenza mensile in una sede non italiana (preferibilmente in Svizzera o in Francia) per evitare fughe di notizie che possano violare la segretezza delle discussioni e delle risoluzioni adottate. Infatti, l’obbligo del segreto sarà vincolante per ogni membro dell’Esecutivo fino a che la strategia dello sviluppo dell’azione politica e diplomatica non produrrà atti concreti e passi avanti indiscutibili degni di essere divulgati (fatti, non parole!). La sede degli incontri dovrà essere facile da raggiungere con l’auto o con l’aereo e le spese di trasferta saranno poste a carico dello sponsor.
6) In questi incontri la “Commissione esecutiva” dovrà discutere la strategia finalizzata al raggiungimento – in tempi realistici – del primario obiettivo statutario: la Secessione della Padania.
7) Primo obiettivo del nuovo esecutivo, ritengo, dovrà essere lo studio e la comprensione della struttura profonda e nascosta della controparte da battere, per comprenderne a fondo tutti i suoi elementi di forza e di debolezza. Bisogna partire dal concetto che, ieri come oggi, i veri “Poteri forti” costituenti l’Establishment in Italia sono: a) Struttura tecnica dello Stato (burocrazia); b) Poteri temporali della Chiesa Cattolica Romana esaltati dalla presenza del vincolo concordatario; c) Organizzazioni Segrete (Mafie e Logge Massoniche) organiche all’Istituzione, sono strutturati in maniera tale da poter essere rappresentate come degli immensi “iceberg”, la cui parte visibile si manifesta – quando si manifesta! – come ovvia ed insignificante rispetto a tutta la massa dei poteri gestiti in piena segretezza.
8) All’analisi di questi Poteri primari bisogna affiancare l’indagine sugli altri importanti poteri secondari dell’Istituzione italiana, quali la gestione del consenso pubblico attraverso i mass-media di regime (Rai, Mediaset, ecc.), e attraverso tutti quei giornali, quotidiani o periodici, che sono in diversa misura finanziati dallo Stato. Altri poteri secondari sono quelli individuabili nella struttura tecnica della gestione politica dello Stato che la Carta Costituzionale delega al parlamento: per esempio la scelta del sistema elettorale in vigore (oggi abbiamo in Italia lo stesso sistema che adottava la Russia al tempo di Stalin!); e poi il grande equivoco secondo cui le due più alte cariche dello Stato (Presidente del Consiglio e Presidente della Repubblica) non siano eleggibili dai cittadini in base a libere elezioni a suffragio universale!
Abbozzata un’analisi del genere – ammesso che la cosa sia possibile fare – verrebbero alla luce tutti i tipi di contenzioso da impugnare a vantaggio del cittadino medio residente nella valle del Po.
Quanta ragione avevi Gilberto, e quanta coerenza, nel ricercare fra le pieghe della storia patria l’origine tanto sconquasso!
NOTE
(1) PATRICK KEYES O’ CLERY: RISORGIMENTO CONTROLUCE a cura di G. De Cesare; Editore Colombo; Roma 1965; pag.317; Nota (2): I disavanzi annui erano enormi. I disavanzi annui dal 1860 al 1870 furono i seguenti: 1860…..16,7 milioni di sterline; 1861….. 20,18; 1862…..14,04; 1863…..12,12; 1864….. 9,37; 1865….. 9,13; 1866….. 32,00; 1867….. 6,36; 1868….. 7,00; 1869…..10,00; 1870….. 8,85.
Per uno Stato come l’Italia, tali disavanzi erano rovinosi, senza dire che essi si producevano quando le entrate erano in continuo aumento per le nuove tasse.
Credo che tutti abbiano in ogni caso un dovere verso Gilberto, e verso gli ideali di libertà che propugnava, credo sia importante, continuare e mantenere il suo pensiero al livello più alto che ogni indipendentista possa immaginare.
Detto questo, ritengo che una fondazione intitolata al suo nome sia sicuramente un’idea importante alla quale
dare forma e sostanza, ma è fondamentale la SERIETA’ con cui portare avanti il progetto, dico questo perché purtroppo negli anni in cui la lega ha cercato di indurre nei Padani l’idea di Padania ha riscosso non il rispetto ma spesso il ridicolo, ovviamente anche sollecitato dai nemici dei Popoli Padano-Alpini.
Abbiamo tutti la necessità di avere un obiettivo da perseguire che ci permetta di non perdere quel poco che sino ad ora è stato costruito. Lo dobbiamo sia al prof. Miglio che a Gilberto Oneto.
Passano i giorni ed io mi sento sempre piu’ solo.
Sento un vuoto nel mio animo… si, mi manca tanto Gilberto Oneto.
Ho un dolore che e’ paragonabile a quello (forse un po’ meno. Non sono ipocrita) di quando e mia sorella e mio fratello mi lasciarono in questa valle di lacrime… specie in politica.
Mi sembra di sentirlo sempre. La sua voce con poco volume ma piena di valore aggiunto, mi manca. Sento una stretta al cuore… sto soffrendo la sua mancanza insomma.
Perche’ se ne vanno sempre loro..? I MIGLIORI..?
Forse anche qualche peggiore, ma di quelli nessuno si accorge della mancanza.
Intellighenti di questo livello valgono molto e quando mancano: e’ un vero terremoto.
Proprio, mi e’ caduto il mondo addosso..!
Gilberto, ora puoi: prega per noi desaparecidos. Si, siamo senza patria.
Riposa serenissimamente in pace.
Amen
Tutto condivisibile, ma c’è un problema, forse il più grave ed insormontabile, non citato nella seppur esauriente lista di problematiche da affrontare: la gravissima ignoranza degli italiani, che ne consente una facile manipolazione da parte dei media di regime tutti politicamente orientati (mainstream, spin doctor e loro frame). Un’ignoranza talmente abissale da essere tra le più degradanti tra tutti i paesi occidentali ed industrializzati, situazione che aveva messo bene in evidenza in una sua ricerca il grande linguista Tullio De Mauro alcuni anni fa, seguito da molti altri studiosi, che pervennero tutti a rilevare che circa il 75 per cento degli italiani sono analfabeti di ritorno, non sono in grado di leggere articoli (figuriamoci i libri) minimamente impegnativi, non sono in grado di capire concetti astratti e minimamente articolati e di elaborare frasi complete di senso compiuto. Questa è la situazione attuale, non per caso, ma per volontà e pianificazione politica pluridecennale ricorrendo ad una, strategia secolare sempre di successo: “panem et circenses” e “divide et impera”, applicata soprattutto tramite i mass media. Con questi presupposti come si può procedere? Acculturiamo prima gli italiani fino a raggiungere una massa critica? Ed in quanto tempo? Ed i mecenati, che peraltro non esistono in assenza di substrati sociali e background culturali, continueranno a finanziare così a lungo? Un caro saluto a tutti voi.
Non si può creare una fondazione secessionista parlando di “civiltà italiana” che sarebbe esistita dalla caduta dell’Impero Romano al 1861 (perchè non dal 753 a.C.?) Nemmeno auspicando uno “Stato Confederale Italiano”. Il povero Gilberto si rigirerà nella tomba.
Io ci sto
tutto ok! allora cominciate ad appoggiare il Veneto che non è Padania ma è contiguo… è andato avanti per conto suo, e vedo che sul balcone ne tenete in mano la bandiera gialla e rossa di San Marco… degnatevi di documentarvi sul percorso che ha già fatto, perché noi la Lega l’abbiamo abbandonata da mo’ e siamo andati avanti per la nostra strada… ora l’indipendenza che abbiamo già dichiarata la primavera dello scorso anno, la stiamo attuando e venite al prossimo incontro a Padova per documentarvi…
da qualche parte bisogna pur cominciare per scrollarci di dosso il macigno romano, abbiamo cominciato noi e se lo farete voi e poi altri, va benissimo…un domani saremmo una grande confederazione se lo vorremo… e saremmo venti volte la Svizzera…e saremmo quello che già nell’ottocento qualcuno aveva pensato che poteva essere il futuro di questa penisola e poi è andata come è andata…e il Veneto nuovamente schiavizzato e poi devastato da due guerre mondiali…
Guardate a noi se vi degnate, invece che alla Sicilia… e appoggiateci… perché poi noi lo faremo per voi!