di MATTEO CORSINI
In Italia più un’idea è assurda, più è duratura. Si prenda, per esempio, l’idea, di matrice sindacale, di favorire l’investimento dei fondi pensione nella cosiddetta economia reale italiana, ponendo però una protezione pubblica per i rendimenti dei fondi stessi. Da ultimo l’ha rilanciata Riccardo Realfonzo, presidente del fondo Cometa, ossia il fondo negoziale dei metalmeccanici.
Si tratterebbe di un “fondo di fondi, pubblico-privato, che raccolga risorse dai fondi pensione, con un vincolo di lungo periodo e con un meccanismo di protezione dei rendimenti, e investa direttamente in infrastrutture e piccole-medie aziende facendo leva sulle formule tradizionali della finanza alternativa, come private equity, private debt e venture capital.”
Secondo Realfonzo sarebbe “un modo pragmatico per superare le strozzature del mercato italiano, favorendo gli investimenti diretti dei fondi pensione nelle imprese e nelle infrastrutture italiane con una misura di politica economica che introduca uno strumento a protezione dei capitali investiti e non concorra a formare nuovo debito pubblico, rispettando la normativa europea in materia di aiuti di Stato.”
Il tutto perché si farebbe fare il lavoro di garante alla immancabile Cassa Depositi e Prestiti. Un modo (utilizzato peraltro anche in altri Paesi europei) per fare debito pubblico non classificandolo tale a livello contabile.
CDP, in sostanza, dovrebbe garantire che il rendimento sia al meno pari a una soglie minima, per esempio pari alla rivalutazione del TFR.
Non mi è del tutto chiaro il passaggio in cui Realfonzo dice che in caso “di extra-rendimenti rispetto alla rivalutazione del Tfr il fondo pubblico ne risulterebbe alimentato.” Ma la sensazione è che si voglia, in ultima analisi, mettere un floor al rendimento per i fondi pensione, appunto pari alla rivalutazione del TFR. A quel punto per i fondi pensione l’investimento sarebbe una sorta di inflation linked con opzione per ottenere una rivalutazione superiore.
Ma chi sarebbe, in fin dei conti, a fornire la garanzia? Formalmente CDP, ma sostanzialmente i pagatori di tasse. Perché, come per i pasti, nessuna garanzia è gratis.
Quando diedero la pensione sociale agli indigenti si gravò, non sulla fiscalità generale, bensì sui contributi pagati da chi aveva lavorato e di conseguenza si ebbero pensioni minime (regolarmente pagate) da fame, di poco superiori alle pensioni sociali sostanzialmente “regalate” a chi non aveva mai versato una lira. Se le tasse sono un furto, questa fu una rapina a mano armata.
Detto ciò per dire che a fornire la garanzia del minimo sicuro potrebbero/dovrebbero essere i lavoratori stessi. Se c’è un pavimento, ci dovrebbe essere anche un tetto, ad esempio, un accantonamento sui massimi di borsa per periodi di magra. Oppure assicurazioni civili o assicurazioni con strumenti finanziari. Insomma, metodi per garantirsi ve ne sono, naturalmente in cambio di un premio più o meno conveniente. Sarebbe bello comunque che gli interessati ne fossero edotti e che potessero scegliere ed è proprio su questo che nutro forti dubbi.