“Di quali altre prove si ha bisogno? Servono altri punti di Pil perduti nell’Eurozona a vantaggio dell’Est Europa o della Gran Bretagna, di ulteriori milioni di disoccupati, di nuovi muti anti-migranti per capire che il Patto di stabilità, il Fiscal compact e lo stesso Trattato di Maastricht, pensati per uno scenario che non si è verificato (crescita del 3%, debiti in calo, mercati finanziari in sonno, sparizione dei conflitti), sono diventati delle norme da cambiare, se non da rottamare”?
Roberto Sommella è tra i tanti critici dei vincoli di bilancio (peraltro scarsamente fatti rispettare) europei. Il ragionamento solitamente è il seguente: il limite di deficit al 3% del Pil fu pensato oltre vent’anni fa ipotizzando una crescita reale del Pil al 3%, 2% di inflazione dei prezzi al consumo e tassi di interesse su livelli attorno alla crescita nominale del Pil (ossia il 5%). Partendo da un debito al 60% del Pil, rispettando il limite del 3% di deficit in quelle condizioni si sarebbe riusciti ad avere un debito stabile nel tempo in rapporto al Pil. Ma le cose sono andate diversamente, le economie non crescono al 3% reale e i prezzi al consumo crescono (oggi) meno del 2% annuo. Quindi i vincoli vanno rivisti.
C’è un problema in questo modo di ragionare: non si tiene conto del livello attuale del debito, né ci si rende conto che, proprio perché la crescita nominale del Pil è inferiore a quella ipotizzata, il deficit dovrebbe semmai essere limitato ben al di sotto del 3%, se non si vuole una crescita esponenziale del debito stesso.
Certamente i paletti dal Trattato di Maastricht in poi hanno fallito, come capita a ogni esperimento di pianificazione socialisteggiante, proprio perché le variabili fondamentali da cui prendevano le basi non sono prevedibili. L’unica certezza è che gli Stati (dove più, dove meno) hanno fatto deficit ogni anno, anche ben oltre il 3% del Pil, tanto che oggi il debito è mediamente oltre 30 punti di Pil oltre al livello prevalente a inizio anni Novanta (come è noto, l’Italia è sempre stata ben oltre la media).
Ne consegue che questi patti possono certamente essere rottamati, ma non per dare una sorta di via libera a fare deficit a volontà, perché non è accumulando debito che si crea sviluppo economico. Il fatto, però, è che i tanti Sommella di questo mondo sembrano proprio credere che sia sufficiente allentare i vincoli per risolvere il problema via denominatore. Un mantra che tutti coloro che credono che la crescita economica passi dall’espansione del bilancio pubblico continuano a ripetere, incuranti dell’esperienza storica.
Forse sarebbe il caso, già che si è in fase di rottamazione, di mettere in cima alla lista il keynesismo, che ha molte più responsabilità del Trattato di Maastricht e patti vari per lo stato mediamente pietoso delle finanze pubbliche.