Per i giapponesi il periodo della 2a guerra mondiale fu chiamato «l’esistenza cipolla»: pelare uno strato alla volta e continuare a piangere per tutto il tempo. È la storia degli italiani dalla nascita dello Stato unitario.
Persone lungimiranti ed intellettualmente oneste come Gianfranco Miglio non hanno inciso significativamente nella cultura politica di questo paese. Eppure le indicazioni sono sempre state chiare. Sul «Il Sole 24 ore», n. 144, 27 maggio, 1987, il professore scriveva:
«Coloro i quali, un giorno, saranno chiamati a riscrivere la Costituzione, dovranno tener conto anche di questa disfunzione. Ma – mi preme rilevarlo subito con la massima chiarezza – non dovranno mirare a ridurre lo spazio del referendum, bensì a muoversi in senso del tutto contrario. Qualche giorno fa il segretario del Partito repubblicano ha contrapposto alla diffidenza sua, e del suo partito, l’istituto referendario, una esplicita difesa della sovranità del Parlamento e del primato del mandato rappresentativo. E il segretario della Democrazia cristiana ha mostrato di apprezzare tale posizione. Mi duole doverlo affermare, ma sono, questi, atteggiamenti di pura e sterile conservazione. La rivoluzione che, da un ventennio a questa parte, sta accelerando in misura impressionante la produzione e la trasmissione delle informazioni, promette ormai di liquidare, entro qualche decennio, le secolari procedure su cui si basa l’istituto parlamentare.
L’idea che le preferenze dei governati possano manifestarsi normalmente soltanto per il tramite di rappresentanti e che la volontà dei primi debba prendere necessariamente la forma di un’adesione (e consenso) alle “verità” proposte dai candidati al potere, questa idea sta per uscire dalla storia. Perché spezza il legame fra legittimazione del governante e ricognizione delle opinioni dei governati.
Fra poco tempo (nei paesi civilmente avanzati) i cittadini non solo potranno “votare”, o esprimere il loro parere su una quantità di argomenti standosene a casa loro, in tempo reale e senza farsi stordire da arcaici riti comiziali, ma saranno in grado di riconoscersi, di raggrupparsi e “comportarsi” autonomamente anche a grandi distanze, e soprattutto di contarsi, indipendentemente dalle iniziative dei pubblici poteri. Le “elezioni” le farà ogni cittadino e le tecniche di potere politico dovranno cambiare radicalmente: un’età e un’arte di governo, cominciate con i missi carolingi [VEDI QUI], arriveranno alla loro fine. Altro che far la guerra ai referendum».
Ai giorni nostri molti pseudo indipendentisti predicano un ordinamento simile a quello svizzero, dove il referendum è solo uno degli strumenti della democrazia, ci sono anche l’iniziativa e la revoca da noi pressoché sconosciuti, però nulla hanno messo sulla carta. Nemmeno quando alcuni odierni indipendentisti sedevano in Consiglio regionale come federalisti hanno fatto qualcosa per eliminare il ridicolo referendum consultivo, né tanto meno hanno fatto previsioni credibili. Eppure, per fare un solo esempio, il voto palese ed elettronico è una realtà di alcuni Cantoni federati che l’ONU ha premiato con il “Public Service Award 2007”. Si può leggerlo qui [VEDI QUI]
A parte coloro che da indipendentisti si sono ritrovati poi ad intorbidire le acque proponendosi come autonomisti nelle liste del PD, i fiancheggiatori dello “Zio Tom” Luca Zaia e sodali parlano anch’essi di autonomia per arrivare all’indipendenza (Tsz!). L’altra lista indipendentista, ha puntato tutte le sue argomentazioni su l’indizione di un fasullo referendum consultivo, la cui indizione non solo è abbastanza incerta per bocca degli stessi protagonisti, ma i cui costi risultano incomprensibili. Infatti Zaia ha a suo tempo affidato l’incarico di seguire il processo attuativo della legge 16/2014 all’assessore regionale leghista Roberto Ciambetti (Bilancio ed enti locali) il quale dichiarò quanto segue: [VEDI QUI]
«Il referendum si terrà, come dice la norma, quando avremo raccolto 14 milioni di euro, visto che non possiamo né vogliamo assolutamente attingere a risorse pubbliche. Prima si raccolgono i soldi, poi si fa il referendum sull’indipendenza. La priorità è esclusivamente economica: garantire attraverso donazioni liberali la copertura finanziaria per fare chiedere ai veneti se vogliono o no l’indipendenza della loro regione. Tutto il resto – dalla propaganda alle procedure di voto – viene dopo.» Riassumendo… prima i “schei”, altro che prima il Veneto!
Ma qualcuno ha poi capito perché il referendum sull’autonomia (legge 15/2014) abbia un costo stimato di 3.950.000,00 di €uro, già coperti da tagli qua e là del bilancio regionale (ergo, soldi pubblici), mentre quello sull’indipendenza i costi dovrebbero essere 10 milioni in più, da coprire con libere donazioni? Saremmo grati a chi ce lo spiegasse. Tuttavia la questione più importante è che anche se si riuscisse ad indire tale referendum la domanda fondamentale rimarrebbe: quanto gli indipendentisti hanno fatto per informare il grande pubblico, che ancor oggi fatica a descrivere la differenza tra autonomia e indipendenza?
E la questione più importante non è nemmeno questa. Dopo la seconda guerra mondiale il costituzionalismo ritorna in auge e conosce una nuova formidabile occasione di diffusione su scala planetaria quando, a seguito della decolonizzazione, esplode nel mondo il numero dei paesi che raggiungono l’indipendenza. La costituzione (uno strumento di disciplina giuridica riguardante l’assetto del potere politico e la posizione della persona nei rapporti col potere organizzato) è la carta di identità di uno Stato. Per raggiungere l’autodeterminazione, chi perora un nuovo Stato si mette subito all’opera per racimolare una carta costituzionale, necessaria – il passaporto – per entrare negli organismi internazionali. Gli serve per certificare il suo nuovo status di piena sovranità e per garantire che al suo interno le regole della democrazia sono rispettate. A questo proposito gli indipendentisti veneti che chiedono il voto il 31 maggio 2015, al momento, non hanno esibito niente.
Eppure la porta degli organismi internazionali, nella seconda metà del Novecento, viene aperta, spalancata, per accogliere la folla degli Stati di nuova indipendenza. Senza costituzione la nuova Repubblica di San Marco potrebbe essere ritenuta uno Stato dalla sovranità ancora incerta o con una vita politica non ben regolata in quanto a democrazia. Nell’ultimo quarto del Novecento, la pressione degli organismi internazionali nei confronti dei singoli Stati comincia a focalizzarsi sul rispetto dei diritti fondamentali, che vengono elencati in specifiche convenzioni, delle quali si comincia a chiedere ad ogni Stato la sottoscrizione e la puntuale applicazione. Agli indipendentisti veneti, al momento, sembra interessare di più sedersi su uno scranno regionale con tutti i privilegi e le remunerazioni relativi.
Gli Stati dotati di costituzione, trattati e giurisprudenza internazionale sui diritti dell’uomo hanno finito per integrare la definizione dei diritti costituzionali. Invece negli Stati senza costituzione il recepimento è avvenuto (o sta avvenendo) attraverso delle leggi organiche. Emblematico il caso dell’Inghilterra: il 2 ottobre 2000 nel Regno Unito è entrato in vigore lo ‘Human Rights Act’ che recepisce la Convenzione europea per i diritti umani.
Un documento costituzionale comincia ad essere considerato, prosaicamente, per quel che è: un prodotto della storia; l’opera di un individuo, o di una commissione di saggi, o di un tempo o una generazione particolari. La convinzione muove dalla consapevolezza della necessità di far cessare l’uso spregiudicato del potere, dare garanzie per la tutela dei diritti fondamentali dei cittadini, salvaguardare il bene comune. In sostanza si ritiene che l’introduzione di un testo costituzionale sia un passaggio necessario e sufficiente per arrivare a proteggere la debolezza del cittadino (e della comunità nel suo insieme) di fronte allo strapotere dei governanti di turno
A fronte di queste constatazioni il mondo indipendentista veneto è monotono, gli uomini non imparan nulla e ricascano a ogni generazione negli stessi errori ed orrori, gli avvenimenti non si ripetono, ma si somigliano: finiscono le novità, le sorprese, le rivelazioni. C’è tutto un ambito politico che negli ultimi 45 anni circa è diventato prima autonomista e federalista, oggi si dichiara indipendentista. Ma che continua ad organizzarsi in partito politico privo di quella progettualità che – lo abbiamo visto più sopra – l’ambito internazionale pretende. A conferma valga l’endorsement recentemente deliberato dal Parlamento e dal governo danesi, nei confronti delle aspirazioni all’indipendenza della Catalogna [VEDI QUI].
Tutte le volte che gli oppressi hanno voluto costituire dei raggruppamenti capaci di esercitare un reale influsso, questi gruppi, si siano essi chiamati movimenti, partiti o sindacati, hanno riprodotto integralmente nel loro seno tutte le tare del regime che pretendevano di riformare o di abbattere, e cioè l’organizzazione burocratica, il rovesciamento del rapporto tra i mezzi e fini, il disprezzo dell’individuo (soprattutto se appartiene ad un altro partito), la separazione tra il pensiero e l’azione, il carattere meccanico del pensiero stesso, l’utilizzazione della subornazione, dell’istupidimento e della menzogna come strumenti di propaganda, e così di seguito. Tanto che a leggere sui social network e altrove le argomentazioni (meglio sarebbe definirle: le offese e le ingiurie) reciproche, vien da pensare che i militanti di certi gruppi indipendentisti siano ancora indottrinati con l’equivalente della Preghiera del Balilla; tanta è la loro “dedizione all’illuminato” capo del partito, anziché alla proposta politica, peraltro spesso assente.
Purtroppo, per arrivare all’indipendenza, non bastano solo riflessioni approfondite, rigorose, per evitare ogni errore, il controllo più accurato; occorrono anche studi storici, tecnici e scientifici, di una vastità e di una precisione inaudite, e condotti da una prospettiva del tutto nuova. Tuttavia gli eventi non attendono; il tempo non si fermerà per darci agio; l’attualità ci s’impone in modo urgente, e ci minaccia catastrofi che provocherebbero, tra molte altre sventure strazianti, l’impossibilità materiale di studiare e di scrivere se non al servizio degli oppressori. Che fare? Non servirebbe a nulla lasciarsi trascinare nella mischia per un impulso irriflessivo. Nessuno, al momento in cui scriviamo, ha la più pallida idea né dei fini né dei mezzi di ciò che viene chiamata indipendenza del Veneto. Non sarà quindi con i movimenti, partiti e/o gruppi pseudo indipendentisti che siederanno in Regione che il Veneto diventerà indipendente (vedasi l’esperienza della Lega Nord); bensì è con un progetto istituzionale innovativo da spendere all’interno ed internazionalmente che si potrà arrivare alla secessione.
Trovo decisamente più “fair”dell’altro nell’esprimere la sua opinione. Purtroppo per aprire la visuale ai Veneti dopo quasi 150 di lavaggio del cervello, convincerli del referendum come parte del percorso per autodeterminarsi ed essere riconosciuti internazionalmente, della bellezza di un futuro alla Svizzera, cé bisogno di gente attiva, che tolga energie e tempo alla famiglia per migliorare il proprio futuro. Molti di questi Veneti stanno a litigare, e a volte anch’io sono uscito dal seminato preso dalla corrente di emozioni contrastanti. Ma tutti questi Veneti sono comunque chi ha capito che bisogna togliere litalia di torno non morire e cominciare a vivere. Purtroppo non tutti hanno però la preparazione teorica e tecnica per buttare giù anche una solo una bozza in maniera rigida di quello che sarà l’organizzazione del domani Veneto. E le cose da fare sono così tante che anche chi ce l’ha non ha il tempo perché priorità é ancora purtroppo far riscoprire al Veneto la propria autocoscienza. Tutto questo per dire che se le sta così a cuore e per lei la priorità é una sorta di precostituzione scritta (mi scuso se non uso i termini corretti, non li so), perché non si propone e si mette Al lavoro in accordo con tutti, in modo da riappianare asti e incomprensioni, come han fatto Morosin e Chiavegato?per ottenere l’indipendenza cé bisogno di tutti, da chi ha le competenza tecniche a chi attacca i volantini. invese de barufar fra veneti par la lista de priorità lavoremoghe. più il movimento diventa grande più cé forza tempo lavoro per creare task force dedicate. Ma bisogna mettersi in gioco attivamente.
Grazie
Fabrizio
Egregio Sig. Fabrizio, conosco un’associazione culturale che ha proposto una bozza di Costituzione per un Veneto indipendente, sottoscritta dai responsabili pro tempore di 5 o 6 movimenti o partiti sedicenti indipendentisti.
Nell’atto di sottoscrizione c’era l’impegno preciso di promuoverla e propagandarla.
Alcune delle persone che lei cita erano al tempo militanti di una o più (perché da “mobilità” è sempre stata molto elevata. Tsz!) di tali formazioni. Ne consegue che sapevano, o comunque (come per il caso di Craxi e Berlusconi) NON POTEVANO NON SAPERE.
Non bastasse, come ho già scritto in precedenza, essi hanno le capacità tecniche per farlo (Morosin è stato legislatore in Regione Veneto).
Di conseguenza consenta a me di fare il mio mestiere: INFORMARE; mentre lei può – se crede – fare il sostenitore. Semmai, come tale, chieda conto direttamente a Morosin, considerato che è disposto a dargli il suo voto.
Grazie a lei per l’attenzione.
Non volevo certo impedirle di fare il suo mestiere. Il mio comunque non é di sostenere chicchessia. Semmai ho la volonta di sostenere l’indipendenza del Veneto, secondo le mie possibilità, senza particolare astio nei confronti suprattutto di chi ha i miei stessi obiettivi anche se con percorsi diversi. Come mi sembrava chiaro nel mio discorso, ognuno definisce le proprie priorità. IV ha quella di divulgare la consapevolezza di essere veneti, di avere il dirito ad esprimersi e che la via pacifica per diventare Indipendenti esiste ed é praticabile. E lo fa mettendosi ingioco e girando come una trottola per tutto il Veneto. Se lei ritiene che la via sia un altra, o almeno che le priorità siano altre, allora la prego di informaci. Scriva dellassociazione di cui parla di cui io non so nulla. Si adoperi perche quello in cui crede sia compreso. Insomma sia utile alla causa. Seminare astio e rispondere con sufficienza e velato disprezzo e in termini generali “conosco un associazione che…” non aiutano, secondo me la causa. Per capacità personali e conoscenze son sicuro lei potrebbe fare ben piú di quelli come me, ma prenda una posizione da leader, non quella del critico tutto e tutti e se uno mha fatto qualcosa allora è fuori per sempre. Quante volt noi, senza volerlo, abbiamo mangiato i biscotti degli altri?
Non condivido il termine “internazionalmente” come determinante nel progetto, l’autodeterminazione non ha bisogno di riconoscimenti se non dagli stessi cittadini che lo determinano.
Viviamo in un’epoca di DIRITTI.
Proviamo a capirci: lei ha il diritto di nutrirsi, insieme a molti altri.
Supponiamo che lei sia l’unico essere sulla terra. Non per questo i pesci o i polli le salteranno in braccio per farsi mangiare da lei.
Al contrario lei ha degli OBBLIGHI. Tra questi quello di non inquinare, con il suo comportamento, il pianeta.
Un diritto, pertanto, per essere tale deve essere dagli ALTRI riconosciuto; altrimenti con chi – per esempio – farà commercio, da chi si rifornirà delle materie prime che mancano al territorio in cui vive.
L’ho fatta breve e semplice, ma conto sulle sue qualità di riflessione per non dilungarmi.