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Venezia ad Amburgo: “DerCarneval von Venedig” di ReinhardKeiser torna in scena. Un inno alla libertà!

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di PAOLO L. BERNARDINI

La costellazione della storia e della cultura veneziana è talmente ampia che ovunque si guardi, anche a caso, nel cielo, lo sguardo incontra una sua stella, e ne resta abbagliato.

Così, in un’afosa serata di inizio luglio, casualmente vagolando ad Altona una volta danese, cercando un alito di vento sulle rive industriali dell’Elba, immerso in pensieri di diverso colore, con una prevalenza del rosa, mi imbatto in un cartellone, che indica che quella sera, presso il teatro di Altona, verrà rappresentato “DerangenehmeBetrug – DerCarneval von Venedig” di ReinhardKeiser. Incuriosito, e ricordando vagamente il nome di Keiser, compositore barocco di primo livello (e ricordando, sempre vagamente, le prime della Passione secondo Marco, popolare anche in Italia), mi affretto verso il teatro. Comincia tra mezz’ora!

Serendipity. Hanno ancora biglietti. Non mi sembra vero. E così mi godo oltre due ore di festa veneziana, di trionfo dell’allegria, di simpatici intrighi amorosi, di semplici ma eloquenti scenografie, tre foto che si alternano, sullo sfondo, di paesaggi veneziani, foto che potrebbero essere state scattate da un qualsiasi turista.

Keiser è un principe della musica barocca di Amburgo, ove morì nel 1739. L’opera è un rifacimento di un capolavoro che ebbe immenso successo, “Le carnaval de Venise”, di Jean-François Regnard, del 1699. Il libretto è in tre lingue, tedesco alto, basso tedesco, e italiano. L’anno di esecuzione è il 1707, l’ultima esecuzione pare essere del 1723 e dunque da trecento anni non viene rappresentato. E mi sento molto fortunato, davvero.

Il testo che accompagna l’esecuzione è molto essenziale, si deve agli appassionati del “Barockwerk” di Amburgo. Uno storico non può non essere colpito dalla prima aria, in tedesco, un inno alla libertà. “LiebsteFreiheit, duallein/SolstderSeelenWonnesein…” “O carissima libertà tu sola devi essere la delizia delle anime…” Libertà, che ritorna sempre, come “libertà amorosa”, certo, ma evidentemente non solo questo. La libertà, grandiosa, mirabile, di Venezia, che non poteva non essere modello in un’altra città libera, ricca, aperta e tollerante, come l’Amburgo di inizi Settecento. Non era ancora come Venezia, ed ebbe anche la sfortuna, nel 1712, di essere toccata sia dalla peste, terribile, sia dalla guerra. Ma a Venezia guardava come un modello, ovviamente. Dunque un inno alla libertà in una città libera aveva un ben chiaro significato, all’epoca dell’incipiente estensione dei futuri grandi stati tedeschi, la Prussia per prima, ma soprattutto la Danimarca e la Svezia, in guerra tra di loro. Amburgo non cedette mai. Neanche Venezia.

L’amore, sì, certo, ma dietro alla libertà amorosa c’è sempre, a ben vedere, una libertà politica. Il Carnevale, la guerra, la peste, l’eccezione, sconvolge tutto, ma senza morti o violenze, al contrario di peste e guerra. Come in un mazzo di carte, tutto è rimescolato, per ritornare tutto come prima. Venezia trionfa amorosa, come in Regnard. Tra il modello e l’imitazione di Keiser, però, vi è la guerra di successione spagnola. E la scelta di Venezia per la neutralità. Ne tiene conto il librettista di Keiser? Occorrerebbe una lettura attenta, scrivo a caldo queste righe. Ma credo di sì.

La libertà di Venezia. La libertà di Amburgo. La seconda ne ha conservato tracce, nei suoi ordinamenti attuali. La prima no. E’ serva fino in fondo. La cosa si percepisce bene, a tacer d’altro, nei rispettivi redditi.

Ma pensiamo alla festa della musica barocca, allegra, ridondante, tutta ritmata, volta agli eccessi. La voce narrante è quella di Fee Brembeck, giovanissima artista dai tanti talenti. Bella e brillante. Un vecchio storico le ricorda che quella libertà non è solo nell’amore. Vi è ben altro, sempre, nella parola libertà. Torno passeggiando da Altona ad Amburgo, il cielo si è rischiarato, la temperatura è scesa di molto, tra il trash sessual-sessantottino della Reeperbahn, che segna l’antico confino tra le due città, penso che la maggiore oscenità sia la schiavitù dell’essere umano. Ma non è vero.

Quel che più oscenamente viola l’umana dignità, è l’esser schiavi senza saperlo, e non fare nessuno sforzo per cercare di capire. Questo non ci pareggia con le bestie, ci rende infinitamente inferiori a loro. “LiebsteFreiheit…”

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