Il titolo di questo intervento è il contenuto di un poster elettorale affisso in Gran Bretagna. Ci sentiamo in sintonia con esso considerato che siamo sempre stati permeati dal sentimento di don Chisciotte, secondo cui le uniche cause buone sono quelle perdute. Ci è sempre piaciuto il motto di Eschilo: «La giustizia è una dea che fugge la casa dei vincitori.» Nella nostra storia donchisciottesca, essere all’opposizione è sempre sembrato più fascinoso che essere nella maggioranza. La maggioranza è sempre noiosa, l’opposizione ha il fascino della fantasia.
Quando si fugge, e noi vogliamo fuggire dall’«inferno» Italia, ci si lascia tutto alle spalle. L’unico tesoro che possiamo portare con noi è la memoria. Memoria delle nostre origini, delle nostre radici, della nostra storia ancestrale. Solo la memoria può consentirci di rinascere, dal nulla. Non importa dove, non importa quando, ma se conserveremo il ricordo della nostra passata grandezza e dei motivi per cui l’abbiamo perduta, noi risorgeremo. Ce lo conferma anche lo storico francese Marc Bloch [Lione, 1886–1944] laddove ha scritto: «L’incomprensione del presente nasce fatalmente dall’ignoranza del passato.»
Tutto si paga a questo mondo. Se un popolo raggiunge un grande livello di civiltà sviluppa contemporaneamente anche un certo tasso di corruzione. I barbari non sono corrotti perché sono barbari, per l’appunto, ma anche loro impareranno presto ad apprezzare le belle vesti, il danaro, i cibi ricercati, i profumi, le belle donne, le belle residenze. Tutto questo costa e, per averlo, è necessario tanto danaro, tanto quanto solo la corruzione può dare. In ogni caso, non c’è civiltà che non abbia in sé una certa quantità di barbarie e non c’è barbarie che non abbia qualche germe di civiltà.
E che cos’è la civiltà? Civiltà significa leggi, ordinamenti politici, certezza del diritto. Significa professioni e mestieri, strade e comunicazioni, riti e solennità. Scienza, ma anche arte, soprattutto arte; letteratura, poesia come quella di Virgilio che abbiamo letto tante volte a scuola e altrove: attività dello spirito che ci rendono molto simili a Dio. Un barbaro, invece, è molto simile a una bestia. Essere parte di una civiltà ti dà un orgoglio particolare, l’orgoglio di partecipare a una grande impresa collettiva, la più grande che sia dato all’uomo di compiere. Questa dovrebbe essere la visione e la missione dei sinceri indipendentisti veneti.
Al contrario cosa abbiamo ai giorni nostri? Il nulla! Se non la disonestà intellettuale, la dissolutezza e l’immoralità del sistema dei partiti politici italiani. È bastata una dozzina – sì e no – di politicanti pseudo indipendentisti, per subornare alcune decine di persone autenticamente indipendentiste che parteciparanno alle elezioni di quello Stato italiano che nel loro animo aborrono. Che a parole vogliono abbandonare, ma che con la loro candidatura in realtà legittimano.
- I simboli elettorali creati apposta per trarre in inganno gli elettori più ingenui e disattenti.
- I politicanti che si giustificano di voler fare patti anche con il diavolo pur d’ottenere l’agognata indipendenza. Essi poi bellamente trascurano o ignorano che il diavolo, in quanto tale, non mantiene mai i patti. Altrimenti che diavolo sarebbe?
- I politicanti “democratici” che evitano la raccolta delle firme per la presentazione delle liste elettorali, lasciando alle new entry tale gravosa e costosa incombenza.
- I politicanti che aprofittando dei vantaggi d’una coalizione con la vecchia partitocrazia si vedranno computare in maniera più vantaggiosa le scarse preferenze ottenute. Nella scorsa tornata elettorale alla Regione Veneto, è bastato l’1,54% dei voti per eleggere un consigliere “coalizzato”, contro lo sbarramento del 3%. È ciò potrà avvenire anche il 31 maggio 2015.
- E se proprio non si otterrà alcuna elezione, per gli pseudo leader “coalizzanti” ci potrà sempre essere la Presidenza o un posto nel Consiglio d’amministrazione di questo o quell’Ente collegato all’istituzione regionale. Ma per le anime candide niente!
- Vogliono l’indipendenza, ma schierandosi ora con la pseduo sinistra, avranno al massimo l’autonomia. Spalleggiano la pseduo destra che parla d’indipendenza ma nulla fa per essa. Di fatto riproducono la stessa conflittualità di quell’inefficiente e corrotto Stato italiano che vorrebbero abbandonare. Peggio ancora: non si rendono conto del potere corruttivo che le istituzioni, grazie alla partitocrazia [VEDI QUI], hanno sul pensiero debole di alcuni attivisti pronti a candidarsi, in fondo in fondo, per sedersi su una poltrona, ma anche su una seggiola, e finanche uno sgabello.
- Il più grave danno i politicanti lo stanno facendo in maniera indiretta, laddove stanno “avvelenando l’animo” lasciando ai peones più ingenui e meno attrezzati culturalmente che li supportano, il lanciare accuse agli altri indipendentisti che, trascorse le elezioni, non dimenticheranno le offese e manterranno alti gli steccati.
Com’è poi possibile accettare alcuni argomenti sviluppati in modo capzioso, vale a dire che tende a trarre in inganno, che è fallace ed insidioso:
- Quello del residuo fiscale veneto pari a circa 20 miliardi di Euro. Alcuni pseudo leader affermano che trattenendo quei soldi potrebbero fare questo e quello; ma tacciono il fatto che per avere quei soldi dovrebbero mantenere la stessa pressione fiscale persecutoria e depretatoria dello Stato italiano. E non contenti aggiungono che quando per loro merito i veneti saranno indipendenti caleranno le tasse e miglioreranno i servizi. Quali? Quelli voluti da loro o scelti dal cittadino “sovrano”? Non viene detto!
- Pretendono d’essere eletti per fare un referendum consultivo che non ha nessun valore, ben sapendo che anche a prescindere dalla sentenza della Corte costituzionale, lo svolgimento di tale referendum è tutt’altro che certo. Infatti scrivono, tra l’altro, testualmente nel loro ricorso alla Corte stessa: (VEDI QUI)
«[…] Invero, il fatto che la consultazione sia “a costo zero” per l’Erario equivale a riconoscere la sua “piena copertura” allorché viene soddisfatta la condizione sospensiva che la legge 16 indica nella avvenuta raccolta di tutte le coperture finanziarie necessarie. […]
CONCLUSIONI
Tutto ciò dedotto e argomentato, si insiste affinché codesta Corte Costituzionale assuma le seguenti conclusioni: […]
- Accertarsi e dichiararsi, per le ragioni, tutte, svolte al punto III, la carenza delle condizioni di procedibilità e trattabilità della causa nel merito, atteso che la consultazione referendaria è a costo zero per l’Erario e, comunque, sottoposta a condizione sospensiva (la previa raccolta dei fondi per far fronte agli oneri di spesa e la fissazione della data della consultazione);»
Ecco le parole chiave: «sottoposta a condizione sospensiva, la previa raccolta dei fondi…». A questo punto il lettore attento ricorderà come i disinvolti Assessori regionali (gli stessi che il 31 maggio chiederanno d’essere votati) abbiano in un primo momento “sbagliato” (Tsz!) ad aprire un conto corrente su cui convogliare le donazioni. Secondariamente come tali donazioni non siano state all’altezza delle promesse e delle aspettative degli stessi promotori. C’è stato perfino chi, preso dall’entusiasmo, ha sostenuto pubblicamente: «…il referendum sarà finanziato da 1000 imprenditori pronti a pagarlo di tasca propria.»
Ora cosa ci induce a credere che il futuro sarà più… roseo?
Per concludere, non troviamo di meglio che far sorridere i nostri lettori con qualche aforisma:
– «Forse sono stato inserito nelle liste elettorali per errore. Non ho il diritto di voto neanche a casa mia.» (Đorđe Otašević)
– «Il popolo non elegge chi lo cura, ma chi lo droga.» (Nicolás Gómez Dávila)
– «Gli elettori sono molto incoerenti. Prima scelgono il bugiardo più talentuoso, e dopo le elezioni gli danno la colpa perché fa quello che sa fare.» (Andrzej Majewski)
– «Ogni cinque anni gli elettori fanno la loro croce; e dopo la devono portare.»
(Birgit Berg-Khoshnavaz)
– «Vorremmo tutti votare per la persona migliore, ma non è mai candidata.»
(Frank McKinney Hubbard)
– «Il fatto di poter eleggere liberamente dei padroni non sopprime né i padroni né gli schiavi.» (Herbert Marcuse)